Musica

Che valore ha la musica oggi?

La storia della musica ha conosciuto due momenti decisivi nella sua evoluzione nel giro di pochi anni.

1. 1999: nasce Napster e soprattutto nasce il sistema di comunicazione di rete peer-to-peer: lo scambio di contenuti può avvenire tra computer non collegati fisicamente tra loro. Basta una connessione a Internet e un server comune e la trasmissione di files, bit, beni immateriali, software, servizi può avvenire senza alcuna regolazione esterna. Non c’è distinzione tra tipologia di contenuti scambiabili: non importa che siano di proprietà di qualcuno o liberi da diritti, disponibili sul mercato dietro un corrispettivo in denaro o gratuiti, che siano singoli brani musicali, interi album o discografie, che siano film in DivX o in qualità cinematografica. La velocità delle connessioni cresce velocemente e così, altrettanto velocemente, circolano i file, sempre più presenti nei nostri computer e sempre più facili da scambiare, anche quando sono molto pesanti e ricchi di dati.

2. 2007: i Radiohead pubblicano In Rainbows, il loro settimo album di studio. La distribuzione commerciale avviene secondo un formato assolutamente inedito, chiamato ‘it’s up to you’. La band di Oxford, libera dai precedenti vincoli contrattuali con la Emi, è proprietaria al 100% della propria opera artistica e decide così di mettere alla prova una strategia di marketing apparentemente assurda: l’album è disponibile per tutti su Internet, scaricabile legalmente dal sito ufficiale. Il prezzo è stabilito dall’utente, che attribuisce un valore economico soggettivo al prodotto. Può dunque decidere di scaricarlo gratuitamente senza commettere un reato. L’invito al download libero è, per molti, troppo esplicito, ma la storia dà ragione a Thom Yorke e ai fratelli Greenwood: i Radiohead, infatti, riescono a trarre ricavi da In Rainbows in quantità maggiore rispetto ai precedenti lavori. La media delle ‘donazioni’ degli utenti è di 2,30 euro per album; una band internazionale oggi non ricava più di 2 euro per cd venduto, sebbene il prezzo al dettaglio raggiunga cifre decisamente più alte, fino ai 20 euro in Italia. Proprio gli italiani, che in teoria dovrebbero godere della fama di furbastri, risultano gli utenti più generosi del mondo.

Queste due storie ridisegnano completamente il mondo della musica secondo queste direttrici:

– Un album digitale, anche di fascia altissima, può essere distribuito a 2 euro, senza l’intermediazione di etichette discografiche, distributori, promotori e comunicatori e senza che il musicista subisca una perdita. Ne consegue che i restanti 13-18 euro che l’appassionato di musica era obbligato a spendere fino a qualche anno fa sono, semplicemente, un costo insostenibile per chi acquista. Inoltre, i negozi che vendono brani digitali online lo fanno a prezzi che, seppur inferiori al passato, sono comunque ingiustificabili;

– Le possibilità di scelta per gli utenti sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi 10 anni. Se prima le nostre scelte dipendevano esclusivamente da ciò che si trovava in negozio, oggi possiamo ascoltare musica in streaming, gratuitamente e su diverse piattaforme, prima di decidere se acquistarla. Se prima il mercato era stabilito dai distributori (etichette discografiche che decidevano cosa dovesse andare sugli scaffali e cosa no), ora è il pubblico a stabilire autonomamente cosa funziona. Le pop-star esistono ancora, ma vendono molto meno rispetto al passato, e soprattutto è sulla Rete che le grandi stelle del firmamento musicale muovono i primi passi verso il successo. È l’applicazione in chiave musicale della teoria della coda lunga;

– La scelta aumenta sia per il tipo di musica disponibile che per i dispositivi da cui ascoltarla: possiamo comprare un cd e godercelo nel soggiorno, possiamo riempire un lettore Mp3, possiamo navigare su YouTube e guardarci anche il video della canzone che ci piace. Possiamo ascoltare musica ovunque e in qualsiasi momento: si sono spezzati i vincoli sia del possesso fisico del prodotto musicale, sia dei luoghi ‘elettivi’ dell’ascolto. La musica non è più un prodotto da possedere ma un servizio da utilizzare. Il cambiamento è certamente economico, ma è soprattutto antropologico;

– Se cambiano le economie di scala per i grandi attori del mercato musicale, cambia anche l’economia musicale e la sua filiera distributiva. Perché dovrei pagare 20 euro per un cd se al musicista va solo il 10% del mio investimento? Qual è la gratificazione fisica legata al possesso un disco di plastica? Sarà un caso che i vinili e le ‘edizioni speciali’ degli album incontrano un gradimento nettamente superiore e hanno un mercato di nicchia ma ben disposto a spendere? La pirateria musicale, considerata il male assoluto dalle multinazionali della musica, è uno dei problemi ma non è quello cruciale. Il problema principale è il modello di business della musica, soprattutto della vendita degli album, rimasta immutata o quasi negli ultimi 12 anni a fronte di due mezze rivoluzioni che, unite, certificano l’insostenibilità dell’attuale sistema dei prezzi.

Per tutte queste ragioni, mi permetto di fare una proposta al mondo della musica. A tutti, dai musicisti alle etichette, dai manager ai distributori, dagli organizzatori di eventi ai grandi media nazionali: organizzatevi per aprire un unico sito-portale-servizio che ospiti tutto ciò che è distribuito nel mondo da tutte le etichette. Stabilite un prezzo unico per l’accesso a questo portale: 50€ al mese. L’utente, però, può scaricare musica in modo illimitato e senza protezioni di sicurezza (come i Drm, per esempio). Le royalties e i diritti (vedi Siae) sarebbero redistribuiti sulla base dei download effettivi.

Gli organizzatori di eventi musicali avrebbero un quadro chiaro di cosa funziona e produce reddito e potrebbero così costruire eventi davvero desiderati dal pubblico. Le etichette discografiche dovrebbero così ‘limitarsi’ a studiare strategie di marketing, comunicazione, brand per fidelizzare gli appassionati di un gruppo musicale, affinché lo segua in tutto ciò che fa e sia disposto a spendere somme di denaro anche considerevoli per concerti, merchandising, produzioni speciali.

Così si abbatte la pirateria e si salva il mercato. Dite che si può fare?