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Londra, un referendum per uscire dall’Ue

La petizione ha raccolto 100mila firme. Tra i firmatari molti deputati, sia conservatori che laburisti. Per legge, Cameron non può ignorare l'istanza popolare, quindi se ne parlerà in Parlamento

In piena bufera economica e con il destino della moneta unica appeso ad un filo, il premier inglese David Cameron si è visto recapitare 100mila firme che chiedono un referendum per decidere se restare o meno nell’Unione europea. Una richiesta che non potrebbe arrivare in un momento peggiore, ma la legge britannica parla chiaro: ogni petizione popolare con almeno 100mila firme deve essere discussa in Parlamento. Non resta altro da fare che inserire la questione all’ordine del giorno.

Il rapporto Londra-Bruxelles è sempre stato piuttosto tormentato. Basti pensare che il Regno Unito è l’unica delle grandi d’Europa a non avere la moneta unica e a non fare parte dello spazio di libera circolazione di Schengen. Una difesa degli interessi britannici condotta a spada tratta sin dal 1973, anno dell’entrata di Londra nell’Ue. Tant’è che l’anno scorso il governo britannico ha introdotto il cosiddetto “referendum lock“, ovvero la garanzia che nessun ulteriore trasferimento di poteri da Londra a Bruxelles possa avvenire senza esplicito consenso popolare, via referendum.

La sensazione è che si voglia abbandonare la barca prima che questa affondi. Tra i firmatari troviamo sia Tories, come Philip Hollobone, Richard Shepherd, Philip Davies e Christopher Chope, che Labour, come Kate Hoey, Kelvin Hopkins and Roger Godsiff. A nulla sono valse le parole dello stesso Cameron che ha più volte ribadito l’importanza di “restare in Europa per influenzare la politica comunitaria e farla funzionare nell’interesse britannico”. Inutile anche la sua condanna “dell’opportunistico” tentativo di spingere i cittadini al referendum.

D’altronde una consultazione per chieder l’uscita del Regno Unito dall’Ue avrebbe un esito piuttosto prevedibile, basta vedere il vento euroscettico che soprattutto ultimamente, soffia oltre Manica e l’escalation di consensi dei partiti no-Ue in tutta Europa, dal front National di Marine Le Pen in Francia ai True Finns di Timo Soini in Finlandia. E poi nessuno a Bruxelles ha dimenticato le sonore sconfitte della Costituzione europea in Francia e Irlanda nelle rispettive consultazioni popolari.

Ma molti deputati a Londra non hanno dubbi. Una novantina di Tories hanno aperto dei tavoli di lavoro per parlare dei futuri rapporti, o non rapporti, con Bruxelles. “Si tratta di un brainstorming costruttivo”, ha messo le mani avanti il conservatore Nadhim Zahawi, “vogliamo solo parlare di come riprenderci i nostri poteri al momento giusto”. Riunioni che preannunciano una bella disputa interna ai Tories. David Cameron sembra infatti convinto che “rompere l’eurozona non è nel nostro interesse”, mentre il ministro delle Finanze George Osborne, anch’egli conservatore, auspica addirittura “misure maggiormente integrative”.

Da Bruxelles una sponda all’iniziativa arriva da Nigel Farage, leader dell’United Kingdom Independence Party ed eurodeputato dell’euroscettico Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (che comprende anche la Lega Nord), famoso per le sue cravatte variopinte e la sua visione dei “populisti come i veri democratici”.