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Libia, la guerra delle magliette da calcio

Tripoli. Se fosse un match finirebbe in pareggio: tra i ribelli le maglie dell’Internazionale Milan e del Milan A. C. sono in egual numero. Ma anche tra i miliziani di Gheddafi sono andate per la maggiore se il giornalista del Corriere della Sera Sarcina, passata la disavventura – anche tragica, per l’uccisione dell’autista che accompagnava quattro reporter italiani – del sequestro, ha ricordato come un tradimento della fratellanza rossonera che uno dei suoi rapitori indossasse una maglia della squadra di Berlusconi, della quale lui è tifosissimo. “Quoque tu Bruto, fili mii”, ha scherzato il reporter ricordando il momento in cui si è trovato di fronte il lealista armato a striscie rosse e nere.

Del resto anche tra i giornalisti non si disdegna di indossare magliette delle squadre di calcio, come è stato costretto in qualche modo a fare – dopo aver perso il suo bagaglio – Domenico Quirico della Stampa, con una camicietta con lo stemma del Paris Saint Germain, la principale squadra di Parigi (di cui è tifoso Sarkozy) e di cui è appena diventato direttore sportivo Leonardo, ex giocatore del Milan e poi allenatore dell’Inter (accusato di tradimento da Gattuso durante la festa scudetto dell’altra squadra di Milano).

Anche tra il personale dell’albergo Corinthia il calcio va per la maggiore: uno dei concierge dell’hotel dove sta arrivando la sempre più folta delegazione del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi per prendere il possesso della capitale liberata, riceve i suoi ospiti ogni giorno con la maglietta blu intenso del Chelsea, posseduta dal magnate russo Abramovich che ha appena cacciato l’allenatore italiano, Ancelotti, per ingaggiare la promesssa del futuro Mourinho, il portoghese Villas Boas, per vincere infine la Champions League. Mentre a Bengasi i ribelli si dividevano tra Arsenal e Manchester United, qui le maglie delle squadre britanniche che si incontrano per strada si riducono a quella rossa del Manchester.

Ma per tutti il top è ormai quella del Barcellona, che surclassa le altre per presenza ed estimatori. In calo la Juventus, con una solo numero 10 di Del Piero incontrato rispetto alle quattro-cinque di Milan (più visto Kakà, ma anche Inzaghi) e Inter (va ancora forte Ronaldo). Ma in uno dei rari negozi aperti ad Abu Salim era esposta in bella mostra la maglia del Real Madrid, nuova squadra di Kakà dopo il Milan. Per i ribelli libici è difficile rimanere al passo con i tempi nel vortice di cambi di maglie dei loro idoli.

Fucile e pallone sono due passioni dei ribelli che, seppur sempre meglio equipaggiati, non smettono le maglie di calcio indossate sotto i corpetti militari. Un Iniesta (numero 9) filtra le macchine al posto di blocco poco fuori dalla base di Khamis, il figlio di Gheddafi al comando delle squadre speciali del 32esimo battaglione, conquistata venerdì. Un altro fan della squadra catalana sta seduto all’ingresso di uno dei palazzi conquistati di fresco. L’azzurro ormai sbiadito di Baggio s’incammina verso casa dopo aver acquistato verdure a un improvvisato mercatino sotto un cavalcavia vicino al lungo mare. Una solitaria maglia della nazionale tedesca girovaga davanti all’hotel dei giornalisti. Sulle spalle di uno di loro la scritta in cirillico di un team russo. Un berretto a righe del Milan veglia su un check point del centro-città. Una maglietta che celebra la vittoria mondiale della Spagna fruga nell’immenso hangar-officina schiantato da una bomba Nato nella base del 32esimo battaglione.

Un bambinetto con la maglia dell’Inter festeggia con gli amici la fine della battaglia di Tripoli.

Il Fatto Quotidiano, 28 agosto 2011

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