Politica

L’adorabile declino <br>di Mister Priapino

Mi pare di aver letto, se non ricordo male, come Emma Marcegaglia lamentasse il rischio inaccettabile che l’Italia tornasse indietro di vent’anni. Aveva ragione, anche se a modo molto suo. Nel 1991, un premier equivoco e declinante invitò democraticamente la plebe ad andare al mare. Fu sepolto da una grandinata di sì referendari.
Oggi la trama si ripete, a chiudere due cerchi – e due parabole umane – simili in tutto.

Silvio Berlusconi, politicamente, è finito. Una salma bonsai che prende cazzotti come neanche Ernie Terrell con Muhammad Ali. Per una volta, è l’elettore italiano a “fluttuare come una farfalla e pungere come un’ape”. A colpirlo, senza sosta, senza pietà. Un pestaggio (democratico) a cielo aperto.
Berlusconi è il patriarca che vive il suo autunno senza alcun rispetto per regole, dignità, amor proprio. Tutto attorno a lui frana, ormai lo zimbella anche la serva (o il servo: insomma, un Briatore qualsiasi). E lui sta lì, a raccontare barzellette sulla mela o dire che Andrea Appiani nel Parnaso aveva raffigurato il bunga bunga. Il nonnino che tocca le zinne alla badante. La badante era l’Italia. La badante non ci sta più.
Berlusconi è politicamente finito (il berlusconismo no). In parte è svanita anche la voglia di festeggiare, perché restano l’imbarazzo e il disgusto per questi 17 anni in cui l’italiano medio, così propenso ad innamorarsi di dittatori caricaturali e così sordo a qualsiasi regola minima etica, si è affidato mani e piedi a un personaggio – e a un codazzo – che in Uganda (con tutto il rispetto per l’Uganda) neanche avrebbero accettato come comparsa al circo.

L’Italia si è liberata di Berlusconi con la velocità di una Fiat Duna smarmittata in salita. Più esattamente, si è stancata di lui. Non per innamoramento nei confronti dell’opposizione (figurarsi), ma perché l’innamoramento perverso è finito. Con lentezza avvilente, ma è finito.
Nelle ultime settimane, Berlusconi ha subito indicibili Golgota. La mazzata alle amministrative, lo zimbellamento nei quattro referendum (da 16 anni non si raggiungeva il quorum: bravo Silvio, per “un nuovo miracolo italiano”). Tutto quello che tocca, diventa sterco. A Milano ha sbagliato tutto, a Napoli non ne ha indovinata mezza, su nucleare e acqua pubblica si è coperto di ridicolo. Bastonate su bastonate, irrisioni, sconfitte. Un massacro (democratico) che scalda il cuore. Tu chiamalo, se vuoi, legittimo godimento.
Ci sono stati, questo mese, appuntamenti televisivi rassicuranti. Il sondaggista Masia che, abbronzato come Carlo Conti dopo una lampada di 8 ore, impiega tre giorni per vaticinare che “Berlusconi ha perso”. Mentana che ospita sadicamente Latorre a La7 per farci capire come sia stato sin qui oggettivamente impossibile votare Pd. Belpietro che fa mirror climbing. Sallusti che prova a fare il simpatico, credibile come la Littizzetto che prova a fare la sexy.
Ferrara che affitta un altro teatro, stavolta per manifestare a favore delle emorroidi garantiste. Porro che si affretta a dire che questi referendum erano inutili (lui che di inutilità si intende). Quagliariello che non dice nulla, però ne va satollamente fiero. Sechi che esibisce quel suo fiero sguardo alla zuava.
Capezzone che dimostra una volta di più come quel cognome doppiamente fallico non sia per caso. E Feltri che, in un commovente outing, per difendere il legittimo impedimento ammette che “non sono tutti uguali, anche la natura non è democratica” (forse alludeva a Castelli o piuttosto a quel ministro uscito dal Giudice di De André).

Per i servi liberi (eh?), onesti (uh?) e illuminati (what?) non è un momento facile. Libero, Il Giornale, Il Foglio, Il Tempo: una prece. Si consolino rammentando, come insegnava Beppe Fenoglio ne Il Partigiano Johnny, che repubblichini e fiancheggiatori non hanno mai avuto problemi a riciclarsi in Italia. Basta scendere un attimo prima dal Titanic. Scagliando, magari, un sasso o un crucifige qualsiasi a Piazza Venezia.
Berlusconi annaspa e inciampa, giorno dopo giorno, sepolto dai fischi della stessa folla che fino al giorno prima lo osannava. Vive il martirio e neanche se ne rende conto. Non funzionano più le televendite mediatiche, i telegiornali finti, le notizie false, gli aldoforbice inkazzosi, le barbaredurso e i brachinopiccino ad ammansire le casalinghe di Voghera.
I vassalli, chi più chi meno, già prendono le distanze. Nelle intercettazioni lo trattano come un vecchio sporcaccione uscito dalle pagine peggiori di Bukowski. In radio e tivù son rimasti giusto Lino Banfi e Bud Spencer a difenderlo. Game Over, gringo.

La sua unica speranza è che a rianimarlo sia nuovamente la parte peggiore del Pd. Come fece D’Alema, come fece Violante, come fece Veltroni. Perché il viale del tramonto viva un epilogo snervante, tra uno Scilipoti e una Santanché, occorre che l’opposizione-per-finta gli tenda la mano melliflua. Speriamo, in questo senso, che Ikarus solchi oceani lontani dalle onde di Gallipoli e che il Modello Macerata resti una fantasia interrotta di Franceschini.

E’ presto per esultare. I colpi di coda faranno male. Eppure tira davvero un’aria nuova. Un’aria salubre che oltrepassa partitismi e nomenklature, che vive del tam tam di società civile e social network, che è già molto oltre la politica dei compromessi, delle Bicamerali e dei sotterfugi.
Milano, Cagliari, Napoli, referendum. Gente in piazza, uomini che festeggiano. Stupore, incredulità. L’ultima puntata di Annozero. E l’incoscienza di tornare quasi a usare quella parola magica che qualcuno chiamava appartenenza. Chi saprà far tesoro di questo serbatoio democratico, finalmente indignato e incredibilmente attivo, non vincerà soltanto le prossime elezioni: riscatterà un paese sfiancato e devastato, ma – ancora – vivo. Chissà come, ma vivo.

Un giorno a Craxi tirarono le monetine. Lui scappò al mare, al posto degli elettori, e non pare sia tornato. Ora, a Berlusconi, le monete gliele tirano – a secchiate – all’interno dell’unico alveo democratico che pare minimamente rispettare (quando gli fa comodo): l’urna elettorale.
Per quanto vedere un caudillo nella polvere risulti salvifico, e per quanto non ci stancheremmo mai di vedere gli Amicone e gli Stracquadanio contorcersi tra una citazione di Baget Bozzo e un abbaio a caso, Mister Priapino accetti il consiglio che l’angolo di Ernie Terrell continuava inutilmente a riverberare: getti la spugna.
Prima che la spugna diventi lui. Se non lo è già.

Ps. E ora scusate, ma vado ad aprire su Facebook il gruppo “Quelli che parteciperanno alla manifestazione di Giuliano Ferrara al Teatro Scaramacai sulle emorroidi garantiste“.