Politica

Lettera a chi persiste <br>in un sacrosanto no

Quali sono le condizioni perché l’invito al confronto tra ItalianiEuropei e MicroMega, proposto da Massimo D’Alema e raccolto (giustamente, dico io) da Paolo Flores d’Arcais, non si riduca al deprimente quanto abituale dialogo tra sordi, in cui la cosiddetta società civile avanza istanze irricevibili da parte di un ceto politico (post-ulivesco? Di centrosinistra?) interessato soltanto a tenerla a bada, visto che l’unico risultato a cui mira è incassarne i consensi nelle ricorrenti congiunture elettorali?

Ritengo che il punto critico stia tutto in una questione cruciale: come organizzarsi per andare a tale confronto, proposto (non a caso) dal massimo esponente del tatticismo cinico, creando le condizioni perché non sia né episodico né mistificatorio. Per battere in breccia il possibile esito, già sperimentato tante volte, che tutto si risolva nella cooptazione individuale di qualche presunto “portavoce” in fregola di carriera. Alcune premesse in ordine sparso:

  1. Il primo partito italiano è costituito dalla sommatoria di quelli che continuano a scendere in piazza e quanti – invece – si sono rintanati nel rifiuto pregiudiziale dell’offerta politica attualmente esposta sui banchi della cosiddetta opposizione (non-voto). Partito virtuale, visto che i vari pezzi di società che dovrebbero comporlo continuano a muoversi svincolati e sparpagliati. Puri sussurri e grida che non diventano mai Voce.
  2. Astensionismo da delusione, più impegno militante su cui incombe la minaccia dell’esaurimento per entropia, più consenso a riflesso condizionato verso le sigle delle nomenklature che ogni volta assicurano di essere pronte adesso a impegnarsi in quanto sinora non hanno fatto (il loro mestiere di oppositori del regime berlusconiano), diventerebbero maggioranza. Contare per credere.
  3. Nonostante i professional rintanati nelle istituzioni ribadiscano che la videopolitica atomizza il corpo elettorale, rendendo obsoleti radicamento sul territorio e discorso democratico come partecipazione collettiva, quando parole d’ordine chiamano i cittadini a raccolta ecco che appaiono sulla scena movimenti di massa (Popolo Viola, Onda Anomala, Donne, operai Fiomm…) che attivano nelle loro manifestazioni milioni di partecipanti. Ormai è cronaca corrente. Del resto, l’unico partito cresciuto per davvero in questi anni – la Lega – ha il suo punto di forza nella simulazione di una presenza “di base”.

Le nomenklature lo sanno benissimo, ma temono, che un ripristino della democrazia presa sul serio minaccerebbe l’habitat residuale in cui sopravvivono. Per questo occorre trascinarle – come si diceva – “scalcianti ed urlanti” fuori dalla tana in cui si sono rintanate a presidiare un tesoretto di consensi che si assottiglia anno dopo anno. Obbligarle a impegnarsi in quanto si ostinano a non fare: essere la sponda nelle istituzioni della soggettività sociale. E perché questo avvenga c’è una sola leva in grado di scardinare ogni resistenza ad aprirsi: la forza dei numeri.

Ma la forza dei numeri resta sempre e solo sulla carta per la ragione semplicissima che i vari movimenti non sono in grado di operare come soggetto collettivo, da “massa critica” che impone il proprio peso anche quantitativo. Questa dissipazione di energie positive avviene in quanto le istanze sociali avanzate in questi anni sono a dir poco variegate e – al limite – tra loro confliggenti: i difensori repubblicani della scuola pubblica non condividono necessariamente la stessa piattaforma valoriale degli antinuclearisti, i difensori dell’acqua pubblica possono pensarla diversamente in materia di sviluppo dai metalmeccanici a rischio disoccupazione. Alla luce del passato e dei numerosi tentativi falliti, si direbbe manchi un ubi consistam su cui fare aggregazione programmatica.

È proprio vero? In ogni caso, fintanto che tali punti comuni non saranno individuati sembra impossibile dare vita a un attore significativo, capace di mettere all’incasso il pur cospicuo dato numerico nella relazione con quella parte delle istituzioni senza la quale la protesta continuerà a girare su se stessa. Mentre scadenze si avvicinano nei calendari della politica, sono fermamente convinto dell’opportunità che – comunque – tale riflessione vada impostata con urgenza: trovare due o tre ragioni che consentano di realizzare una Consulta Permanente della soggettività d’opposizione (leggi movimenti) per agire di concerto al fine di sbloccare la situazione. L’organizzazione di un raccordo qualsivoglia.

Il nuovo spazio di comunicazione orizzontale di massa, creato dai numerosi blog su cui dibattiamo quotidianamente, può essere la piazza virtuale in cui chiarirci le idee. Comincio io a proporre un punto di convergenza: il comune interesse a riattivare canali nei due sensi tra sistema dei partiti e domanda sociale (regole, ma anche processi di ricambio contrattati) senza i quali la fiamma dell’impegno si esaurisce, a fronte dell’inevitabile estinzione di pezzi di ceto politico suicidatosi nell’insignificanza.

Insomma, partire dal comune interesse a non sparire nella terribile normalizzazione del berlusconismo.