Politica

Repubblica delle banane, magari!

L’esibizione oscena del capocomico a Lampedusa, con il sindaco che impedisce agli abitanti qualsiasi forma di contestazione, e il quasi contestuale blitz a Montecitorio sul processo breve con tanto di vaffa del ministro della Difesa al presidente della Camera che lo richiamava per l’aggressione verbale a Dario Franceschini, legittimato a parlare, sono un’immagine che va ancora oltre il folklore politico italiano per cui siamo tristemente famosi nel mondo.

La girandola di stupidaggini senza paracadute che un presidente del Consiglio, parodia di un guitto in disarmo, ha sparato davanti a una comunità che versa in una situazione insostenibile e ad una folla di disperati, totalmente ignorati, è persino più imbarazzante della spudorata campagna elettorale sulla location con rovine del terremoto a l’Aquila.

Davanti ai cartelli involontariamente ironici, gli unici autorizzati, che invocavano “Santo Silvio pensaci tu” l’uomo della provvidenza diventato “lampedusano” nella notte con l’acquisto on line della villa Due Palme ha assicurato all’isola, libera dagli immigrati entro non più di 60 ore, un futuro folgorante, qualcosa tra Hollywood e Montecarlo: zona franca dalle tasse con spettacolare rilancio turistico a colpi di campi da golf e casinò. Ma senza dimenticare il prestigio internazionale e così l’ha anche candidata al Nobel per la pace.

In conferenza stampa, quando qualcuno ha osato fare domande su processi e giustizia, il tono dell’intrattenitore si è fatto meno scanzonato, e il copione più logoro e ripetitivo del solito: giuramento sulle teste sempre più numerose degli incolpevoli nipoti sommate a quelle dei figli come argomento ultimo per dimostrare la vis persecutoria dei magistrati e la totale infondatezza del processo Mills, che comunque, a scanso di equivoci, i fedeli alleati leghisti alla Camera stavano affossando con l’ennesimo colpo di mano. Poi gli abituali insulti alla stampa non allineata, guarda caso un giornalista de Il Fatto Quotidiano: “Mi dispiace che la mattina lei si guardi allo specchio e vedendosi sia incazzato per tutta la giornata”.

Mentre a Lampedusa recitava un piazzista in affanno abusando più ostentatamente del solito della credulità popolare, a Montecitorio il blitz del leghista di turno ha spianato la strada con una inversione dell’ordine del giorno a quello che viene spacciato come “processo europeo”, e cioè l’ultima formulazione del processo breve secondo l’eterna regola del gioco delle tre carte. Ritirata la norma transitoria in vista del dialogo sulla riforma epocale della giustizia e al grido di “mai più leggi ad personam” ecco la nuova prescrizione breve per gli incensurati, finalizzata a fulminare il processo Mills prima della prescrizione “naturale”, fissata con la ex Cirielli, che interverrebbe solo dopo la sentenza di primo grado, troppo vicina e troppo rischiosa. Davanti a Montecitorio le centinaia di cittadini che manifestavano a difesa dell’uguaglianza davanti alla legge e contro l’ennesima porcata erano qualcosa di decisamente intollerabile per il ministro La Russa che con la spavalderia e il disprezzo della libertà di critica e dissenso che contraddistingue questo regime cabarettistico, non ha resistito al richiamo della provocazione da sano camerata.

Così, quando è uscito per constatare e per sfidare “i violenti”, è stato accolto come si meritava a suon di “vergogna” e di lanci di monetine come non si vedeva dal ’92 al tempo del parlamento degli inquisiti, che visti retrospettivamente sembrerebbero almeno meno beceri, sguaiati e ridicoli di molti onorevoli e ministri attuali. Per capire bene a cosa siamo ridotti basterebbe pensare, tanto per fare un esempio, che per il processo Ruby sono stati citati come testimoni della difesa, tra la schiera di politici e vip, ben quattro ministri della Repubblica, tra cui le due signore Carfagna e Gelmini, considerate un modello, non si sa bene se per meriti funzionali o extracurricolari, da Nicole Minetti, che comunque pretenderebbe di surclassarle come ministro degli Esteri. Gli altri due testimoni istituzionali, insieme al portavoce sottosegretario Bonaiuti, sono il ministro degli esteri Frattini ed il neo ministro alla cultura Galan, chiamati dalla difesa a confermare, si badi bene, la circostanza di avere partecipato a un incontro formale tra Berlusconi e Mubarak in cui il primo parlava al secondo, pochi giorni prima della telefonata in questura, della mitica “nipote”.

Ormai ogni definizione, per quanto corrosiva, rischia di essere inadeguata: anche “Repubblica delle banane”, che ci hanno rinfacciato per anni come sabotatori dell’italianità accecati dall’antiberlusconismo, anche “Repubblica dei fichi d’india”, coniata un (bel) po’ tardivamente da Gianni Agnelli per stigmatizzare l’Italia berlusconiana di allora, sembrano qualcosa di infinitamente più lieve e meno trucido del nostro presente.