Cronaca

Di corsa sui binari e in autostrada. La follia dei tunisini di Ventimiglia per arrivare in Francia

Centonovantuno metri di corsa. Non è una gara. Per i giovani tunisini stipati a Ventimiglia è una prova che può valere la vita: superare il viadotto del Passo, un ponte sospeso sull’Autostrada dei Fiori. Da una parte l’Italia, dall’altra la Francia. Quando tutti gli altri tentativi sono falliti – il treno, il viaggio con i passeur che ti tolgono gli ultimi euro, la fuga sulle rotaie – allora si tenta con l’autostrada: di corsa per viadotti e gallerie fino alla Francia. Una roulette russa, o la va o la spacca. E non è per niente detto che all’arrivo non ti fermi la Gendarmeria. Ammesso che arrivi, perché è un miracolo che finora nessuno ci abbia rimesso la pelle.

(video di Lorenzo Galeazzi)

Bisogna vedere per capire. Bisogna lasciare le luci della costa, i bar dove di sera signori e signore eleganti sorseggiano cocktail con le Porsche parcheggiate all’ingresso. Si sale fino a Grimaldi, un paese appeso sul mare, l’ultimo lembo d’Italia. La Francia è lì che ti sembra di toccarla: 191 metri. Dopo le ultime case ecco la sterrata che porta al viadotto. Chissà chi gliel’ha detto ai ragazzi tunisini, la voce si è diffusa in un attimo. È facile per i cronisti camminare tra gli ulivi, i fiori con quel giallo acceso che si vede anche di notte, in mezzo alle rane che gracidano impazzite. Ma loro, questi due ragazzi che stanno per lanciarsi di corsa sull’autostrada, c’è da giurarci che non vedono niente, che non sentono i profumi. Devono avere il cuore a mille sotto la felpa. Camminano uno accanto all’altro, i due giornalisti con il taccuino e la telecamera in mano che li seguono con uno strano senso di colpa: stai assistendo a una follia e non puoi fare altro che guardare. Pensi a quelle volte che salivi per queste stesse montagne per fotografare le aquile e ti senti un miserabile, perché stavolta non ci sono bestie da trovare, ma persone.

Eppure osservi la scena. I due ragazzi sono arrivati al rudere di pietra di cui gli avevano parlato gli amici: “Bisogna stare sulla sinistra, prendere il sentiero sopra la galleria. Poi c’è un buco nella rete”. È il passaggio che porta dritto alla piazzola di sosta, all’autostrada dove vedi sfrecciare le luci delle auto. Eccoli i due ragazzi, se ne stanno seduti uno di fianco all’altro ai margini dell’asfalto. Parlano. Uno se ne va, poi torna. L’altro sta rannicchiato con la testa bassa, come se cercasse di pensare, di radunare le forze. Non è facile decidersi: davanti a loro c’è il viadotto del Passo, 191 metri, come ricorda il cartello verde. Il cartello blu con la scritta “France” è a metà del ponte. Sembra un’inezia, trenta secondi di corsa. Ma poi ti guardi alle spalle: dal buco nero della galleria arriva il rumore sordo, come il barrito di un grande animale, dei camion in corsa. All’improvviso te li trovi addosso.

“No, impossibile”, dice quello con la felpa scura. Già, meno di duecento metri, ma non c’è un centimetro di via di fuga, devi correre sulle corsie. Oppure appenderti al guard-rail sospeso su ottanta metri di vuoto che se passa un tir ti sbatte giù per lo spostamento d’aria. “Io vado”, sembra dire l’altro. Urlano, per l’eccitazione, per la rabbia. Forse litigano. Il ragazzo con la felpa rossa attraversa l’autostrada, prova a vedere se l’altra carreggiata è più sicura: in fondo è meglio guardare i camion in faccia, vederteli arrivare contro.

Un breve sopralluogo, poi torna indietro scrollando la testa. E di nuovo parlano. Uno sembra piangere. Alla fine si dividono: “Vado”, dice uno. Fa due passi fino alla linea gialla. Sta per partire, vedi le gambe che si contraggono. Ma l’amico gli è addosso, gli si mette davanti, tra lui e le auto che corrono veloci. “Fermati”, sembra urlare. I giornalisti stanno lì a guardare, vorrebbero intervenire. È un attimo, chissà che cosa sta passando nella testa dei due ragazzi. Ti sembra che potrebbero partire insieme, e invece no. Quello alto si fa convincere, rinuncia. Per fortuna. Che follia: duecento metri sospesi sul vuoto. Poi sei in Francia, “fuori dalle balle”. Ma ti tocca correre ancora: 415 metri nella galleria di Cima Giralda, in un buio tagliato dagli abbaglianti delle auto.

E magari alla fine, se ci arrivi, ti trovi davanti un gendarme che ti riporta indietro.