Politica

B. perde colpi, ma serve la spallata

A differenza di quello che si legge sui giornali e che il Corriere della Sera ha evidenziato come notizia principale, non credo che Berlusconi regga nei sondaggi. Sempre che ci intendiamo sulla loro lettura. Apparentemente, infatti, il Pdl è stabile al 30%, la Lega oscilla tra il 10 e l’11%, il centrosinistra resta sotto il 40% e il “terzo polo” non sfonda ma potrebbe essere decisivo. Però queste rilevazioni, e soprattutto i commenti che ne conseguono, sottovalutano sempre la questione, a mio avviso ormai determinante, della crescita dell’astensione e dell’aumento di coloro che si dichiarano indecisi. Nel sondaggio di Mannheimer pubblicato dal Corriere, infatti, questa percentuale sembra superare il 40% ma anche oggi, sul Giornale di Sallusti, la stessa rilevazione Euromedia Research, quella preferita da Berlusconi, è costretta ad ammettere che il premier perde popolarità.

Ancora da Mannheimer, in effetti, si registra che la percentuale di coloro che pensano che Berlusconi debba immediatamente dimettersi sale, rispetto al febbraio di un anno fa, dal 41 al 49%.
Insomma, gli scricchiolii a mio avviso ci sono e si manifestano nel modo più disincantato e sconsolato che ci possa essere, abbandonando il campo. Anche perché l’offerta politica è quella che è. E qui sta la vera ragione della forza berlusconiana come del resto si sente ripetere da più parti e come è ormai evidente allo stesso Partito democratico. Che però non smette di far danni. Convoca le primarie, ci porta un sacco di gente e poi è costretto ad assistere alle accuse di brogli che i suoi candidati si lanciano l’un l’altro. Si divide in Direzione nazionale – nessuno ha capito bene su cosa – la minoranza poi fa un convegno di riappacificazione e si brinda alla ritrovata unità interna (sempre, senza sapere bene su cosa). Si potrebbe continuare ma sarebbe troppo facile infierire.

Vale la pena, invece, fare un’altra osservazione. I dati elettorali, e gli stessi sondaggi, dimostrano che l’Italia in età di voto è divisa all’incirca in tre parti: una, circa un terzo, vota decisamente Berlusconi ed è in diminuzione; un’altra, altrettanto grande – forse oggi superiore se si considera anche il “terzo polo” – è decisamente anti-berlusconiana e anch’essa non cresce; una terza parte resta a guardare, è stufa e non si fa rappresentare da nessuna delle opzioni in campo. Ed è quella che cresce di più. Solo che la prima parte, l’Italia berlusconiana, possiede una rappresentanza politica in cui riconoscersi, una leadership che sussume i suoi valori e la sua identità e questa è la sua principale forza. La seconda ha una rappresentanza politica instabile, incerta, insicura, indecisa, spesso inetta; la terza parte si muove disillusa con poche prospettive all’orizzonte trovando conferme ai propri orientamenti in altri paesi.

Pochi, ad esempio, hanno sottolineato il dato delle presidenziali in Portogallo dove l’astensione è salita al 53,37% e sommata alle schede bianche e nulle sfiora il 60%: un esplicito rifiuto dell’austerity imposta dal premier socialista Socrates ma anche effetto dell’assenza di un’alternativa valida al suo governo. L’astensione, sempre più, è la spia di un sistema complessivo che si sgretola e, Italia, indica che Berlusconi perde colpi o che può perdere rapidamente presa sociale. Ma dice anche che questo non potrà avvenire per magia né solo “grazie” alle inchieste giudiziarie. C’è bisogno di una spinta, di uno scatto che provi a spostare gli equilibri, a rinfrancare la seconda Italia ma, soprattutto, a convincere la terza, quella più numerosa che però, a mio avviso, si muoverà solo con una ristrutturazione dell’offerta politica. Quella attuale ha fatto il suo tempo.