Cronaca

“A Roma frammenti degli anni di piombo”

Inaugurati a Milano i giardini dedicati a Sergio Bazzega e Vittorio Padovani, uccisi nel 1976 dal brigatista Alasia. Il figlio di Bazzega, Giorgio, oggi dice: "Capisco la rabbia dei ragazzi, ma non posso condividere la violenza"

“Quelle che ho visto a Roma sembravano scene uscite da un documentario sugli anni di piombo. Dentro di me soffrivo per la consapevolezza di come, da allora, si sia imparato veramente poco”. Giorgio Bazzega, figlio di Sergio, riflette sugli scontri di di Roma alla cerimonia di intitolazione dei giardini di via Stendhal a Milano dedicati al padre, maresciallo, e al vice Questore Vittorio Padovani, entrambi caduti in uno scontro a fuoco il 15 dicembre 1976 per mano del brigatista Walter Alasia.

Nel corso di un’operazione di polizia, Bazzega e Padovani irruppero nella sua casa a Sesto San Giovanni e provarono a disarmarlo, ma lui rispose col fuoco. Poco dopo, mentre tentava la fuga, Alasia venne ucciso da altri agenti. Quel giorno morirono in tre. Alla cerimonia il sindaco Letizia Moratti ha ricordato che “grazie a persone come Vittorio Padovani e Sergio Bazzega abbiamo superato quella stagione di odio e violenza che il fanatismo ideologico aveva portato nel nostro Paese”. Erano presenti anche Mario Calabresi e Benedetta Tobagi oltre alle vedove dei due agenti, Luciana Santangelo e Mirella Padovani. Il passato non è così distante dal presente e per Giorgio Bazzega nei giorni scorsi sono andati in scena frammenti di quanto accadeva nell’Italia degli anni Settanta. Complice una classe politica che “oggi è interessata solo al mantenimento dei propri interessi particolari, indifferente al confronto con l’avversario politico”.

E la stanchezza e la disillusione hanno provocato la reazione: “Capisco da dove nasce la rabbia dei ragazzi, anche se non condivido la modalità violenta. Cercano giustizia sociale, possibilità di un futuro che non hanno. In tempi di crisi come questo si acuiscono le disparità sociali, mentre la politica rimane a guardare”. La piazza, secondo Giorgio, rappresenta una reazione all’incapacità della politica. “Il Parlamento si è esibito in scene convulse che, seppur verbali, non avevano una portata di violenza inferiore. Ancora una volta contrapposizione e divisione hanno vinto sulla civiltà e dato un pessimo esempio al paese. Sono stati momenti imbarazzanti per un paese democratico. I nostri politici non si confrontano, non dialogano. E, a cascata, gli effetti si estendono sui manifestanti, delusi da chi li rappresenta. Sarebbe ora di superare gli steccati ideologici per unirsi in nome di valori comuni. Siamo nel 2010, la contrapposizione non ha mai portato a soluzioni ragionate”.

Giorgio tira così le fila del proprio percorso individuale, lungo e sofferto, a seguito della morte del padre Sergio: “Io per primo ho passato la maggior parte della mia vita vivendo nell’odio e nella sete di vendetta, alimentate dall’assenza di confronto e di verità. Noi, figli delle vittime di quegli anni, siamo la prova vivente delle ‘porcate’ fatte per mano delle istituzioni che hanno coperto i servizi segreti deviati e generato zone d’ombra. Mio padre raccontava a mia madre di essere depresso perché assisteva a frequenti insabbiamenti e depistaggi. ‘Noi rischiamo la vita per il Paese, e loro ci manoverano dall’alto’, diceva”. L’unica soluzione, dunque, è il confronto: “La nostra generazione di figli, da me a Benedetta Tobagi, ha capito che la contrapposizione non ha portato a nulla. Tuttavia, chi condanna a prescindere le reazioni di piazza a cui abbiamo assistito ieri, non capisce i motivi della rabbia sociale che viviamo”.

Lontano dalla retorica conformista e dal vocabolario della “vittima”, Bazzega ha invitato alla cerimonia Mario Ferrandi, ex di Prima Linea e condannato per concorso in omicidio volontario del vicebrigadiere Antonio Custra durante gli scontri di Via De Amicis a Milano il 14 maggio 1977. “Sono felice che sia venuto, gliel’ho chiesto io. Anche attraverso di lui ho superato il mio odio e capito come lo scontro non sia funzionale a nessuno. Bisogna parlare con chi siamo abituati a identificare come ‘nemico’, questa è la vera rivoluzione. Per questo quando mi hanno chiesto cosa volessi sulla targa per mio padre e Vittorio non volevo richiamare ancora una volta Walter Alasia e le Brigate rosse”. Ed ecco che nei giardini di Via Stendhal a Milano leggiamo che Bazzega e Padovani sono “caduti nell’adempimento del proprio dovere. Per l’alto rispetto verso la vita umana”.