Politica

Nelle mani di Bocchino

Voglio essere onesto. A me Bocchino sta simpatico. L’altra sera, a Ballarò l’ho visto all’opera accanto a Enrico Letta. Beh, non c’è stata partita. Il capogruppo di Futuro e Libertà, in quanto ad attacchi a Berlusconi, non ha rivali. Risuonano ancora le parole ad Annozero di qualche settimana fa, quando ricordava che «Berlusconi Palazzo Chigi lo vuole conservare integro per Marina o Piersilvio», cioè tramandarlo ai figli. Insomma, se si tratta di attaccare la persona Berlusconi, beh chi meglio di uno che il premier lo conosce da vicino, che magari a qualche serata ha partecipato, che ha la memoria per ricordare che al congresso del Pdl le «prime cinque file erano riservate a delle belle ragazze che dovevano cantare “meno male che Silvio c’è”»? Se è questa l’opposizione, allora va bene delegarla ai finiani, a coloro che, in effetti, possono fare più danni al presidente del Consiglio, al suo governo e al suo partito.

Ma quel Bocchino, così divertente, è lo stesso che subito dopo è andato a trattare con lo stesso Berlusconi la tregua: dimissioni e reincarico in 72 ore per un nuovo governo del Cavaliere allargato all’Udc e con un posto di rilievo per Fli. E’ chiaro, quindi, che c’è qualcosa che non va. La conclusione di questa crisi potrebbe infatti assomigliare molto a quella democristiane quando con un giro di walzer e di poltrone si sistemavano tante magagne e tante preoccupazioni. Con uno smacco per il Pd e anche per l’Idv, sprofondata nel “caso Scilipoti”.

E allora, la domanda: ma davvero si può pensare di risolvere il problema affidandosi a Fini e Casini? Per il Pd si rischia l’ennesima disfatta.

Certo, Bersani potrà dire che ci ha provato ma in quel caso non porterà a casa nulla se non rancori e divisioni. Il fatto è che, ancora una volta, il centrosinistra manca della capacità di cogliere le occasioni, di capire che la politica è anche, se non soprattutto, questione di tempi. E aver concesso a Berlusconi un mese per gestire la crisi, con il voto fissato al 14 dicembre, è stato l’errore più grave. Il presidente Napolitano ha una precisa responsabilità in ciò ma anche il Pd con la sua chiamata alla “responsabilità” sulla Legge di Stabilità, ha avuto un ruolo diretto. In questo mese Berlusconi ha potuto contare su quell’indecisione e oscillazione delle opposizioni che permise – in altro contesto, ci rendiamo conto, ma la logica politica è la stessa – a Mussolini di riprendersi dallo scandalo Matteotti, di superare l’Aventino e chiudere la prima vera crisi del regime fascista. Anche allora, mentre il Pci di Gramsci proponeva lo sciopero generale e una mobilitazione generale della società italiana, le «opposizioni costituzionali» rincorrevano le ali più moderate in una corsa all’immobilismo che fu loro fatale. Il rischio si ripete anche oggi, allo stesso modo.

E si presenterà intatto anche se Berlusconi dovesse cadere perché il “terzo polo” sta comunque trattando per il “dopo” per formare un nuovo governo di centrodestra senza l’appoggio del Pd. Tanto che i movimenti dei vari parlamentari si spiegano non solo con la compravendita relativa al 14, che pure c’è ed è scandalosa, ma anche con i posizionamenti in vista di un nuovo governo e di un nuovo equilibrio politico. Anche Pannella punta a questo (oltre alla piena visibilità per i Radicali). Ancora una volta senza il Pd o con una pressione tale da poterlo spaccare.

Il Pd non tocca palla da più di un mese per la semplice ragione che il suo campo naturale di gioco, in quanto intestatario dell’opposizione di sinistra, non è quello disegnato da Casini ma dovrebbe essere quello della mobilitazione del Paese, dello sciopero generale in campo sindacale, dell’intransigenza al proprio interno – capito Renzi? – dell’insospettabilità rispetto a scandali e “conflitti di interese” – capito Finocchiaro? -, della capacità di delineare proposte, progetti, idee per uscire dalla crisi (quale idee ha presentato finora?). E invece tutto questo manca, non riesce a emergere, non ha linfa vitale. Berlusconi ha segnato quasi un ventennio in virtù della sua capacità di rappresentare una società divenuta “mucillagine”, spappolata dal Caf e chiusa in sé stessa. Ma gran parte di questa sua virtù è dipesa, e dipende ancora, dall’opposizione più fallimentare che esista su scala mondiale.