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I socialisti di Zapatero che il Pd si sogna

Ci sono paesi dove l’inutile dibattito sui nomi, sui simboli e sui colori dei partiti non è mai stato – per fortuna – all’ordine del giorno.

In Spagna i socialisti si chiamano socialisti, non hanno mai pensato di rinunciare al rosso fuoco e vanno orgogliosi della loro rosa nel pugno. Con Zapatero, sono ininterrottamente al governo da sei anni. Un po’ acciaccati, per via della crisi economica, ma sempre lì.

E se il premier riuscirà a evitare le elezioni anticipate, tra due anni, quando l’economia avrà ripreso a girare, nulla esclude che possa puntare alla rielezione. Comunque, pure in caso di sconfitta, neppure le previsioni più catastrofiche vedono il partito al di sotto del 35 per cento. Stesso discorso per il Portogallo.

Il Ps (socialisti, simbolo rosso, la rosa, il pugno) ha governato per 13 degli ultimi 15 anni: dal 1995 al 2002 con Antonio Guterres e dal 2004 ad oggi con José Socrates. Il quale, nel suo primo mandato, ha ottenuto addirittura la maggioranza assoluta, mentre alle ultime legislative, nel settembre scorso, si è dovuto “accontentare” del 36,5 per cento. Perché a Lisbona c’è anche un “blocco di sinistra” capace di raccogliere il 10 per cento dei consensi, mentre i comunisti, che si chiamano sempre comunisti, sfiorano l’8 per cento.

Ma vi immaginate i salti di gioia che farebbero nel Pd se riuscissero anche solo a sfiorare le “performance” iberiche? Però no, ora se ne viene fuori un tal Pierluigi Castagnetti (qualcuno ricorda ancora i passaggi fondamentali della sua travolgente carriera politica?) con un altolà perentorio: “Basta con il Partito socialista europeo”. E perché mai? Perché il socialismo è morto.

E vabbè. E pure la socialdemocrazia ha concluso la sua “missione storica”. Chissà. Lui, che ha le idee chiare, è passato dalla Democrazia Cristiana al Ppi all’Ulivo all’Unione alla Margherita fino ad approdare al Pd. E ora è lì a chiedersi, forse, che ci fa dentro questo partito dove qualcuno osa ancora proclamarsi di sinistra.

E un provocatore si azzarda persino in pubblico a utilizzare il termine “compagni”. Che obbrobrio. Berlusconi è inamovibile, il Pd non sa ancora di che pasta è fatto, però la cosa fondamentale, secondo l’insigne statista, è che “la ricetta socialista non è credibile”.