Diritti

Pro-vita nei consultori, allarme ad Aosta: “Donne obbligate all’ascolto del battito fetale”. Usl: “Nessuna associazione nelle strutture”

Al via dopo l’ok del Parlamento al decreto Pnrr, la norma che autorizza le Regioni a consentire l’ingresso nei consultori delle associazioni pro-vita ha subito scatenato tensioni. E arrivano le prime denunce. “Sono pervenute al Centro donne contro la violenza di Aosta segnalazioni di donne che, giunte in presidi sanitari pubblici del territorio regionale per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, sono state negli stessi luoghi sottoposte a indebite interferenze e pressioni da parte di volontari, consistenti nell’imporre l’ascolto del battito fetale o nella promessa di sostegni economici o beni di consumo, con il preciso intento di dissuaderle dalla scelta di abortire, personalissima e spesso sofferta”, scrive in una nota il Centro donne contro la violenza di Aosta. La struttura, ”in sinergia con i Centri antiviolenza aderenti alla rete nazionale Di.re – Donne in rete contro la violenza, avvierà pertanto azioni di monitoraggio della corretta applicazione della legge 194/1978 nel territorio regionale, e azioni di sensibilizzazione e resistenza, sostenendo le donne e valutando con esse, qualora ne ricorrano le condizioni e nel rispetto della loro volontà, ogni iniziativa utile a tutela delle stesse”. Il Centro donne “condivide, infatti, le preoccupazioni da più parti espresse per la scelta del governo di prevedere, con un emendamento alla legge 194, la possibilità per i consultori, presidi pubblici di accoglienza e tutela della salute della donna, di concordare la presenza delle cosiddette associazioni pro-vita, non solo a supporto dei percorsi di maternità difficile dopo la nascita, ma anche nella delicatissima fase di maturazione della decisione di interrompere, o meno, la gravidanza”.

Alle polemiche ha risposto subito l’Usl della Valle d’Aosta, che in una nota sottolinea che “non risultano volontari di associazioni pro-vita nei consultori o in ospedale e che nessuna segnalazione in tal senso è arrivata all’azienda né da parte di cittadini né da parte di associazioni”. Inoltre il dipartimento Politiche sociali dell’assessorato regionale alla Sanità, salute e politiche sociali ha dichiarato che i propri uffici non hanno ricevuto alcuna segnalazione dall’associazione che gestisce il Centro anti violenza. Usl e il dipartimento regionale precisano che “erogare buoni servizi sanitari nel rispetto delle norme vigenti è l’unico fine dell’azienda e di tutto il Sistema sanitario regionale. Chiediamo a cittadini ed associazioni di segnalarci in modo circostanziato eventuali episodi anomali in modo da poter permettere verifiche puntuali approfondite ed efficaci a tutela di tutti”.

A decidere l’applicazione della norma introdotta dal governo sono ora le Regioni. Dall’Emilia-Romagna alla Toscana, dalla Campania alla Puglia, tutte a guida centrosinistra, è arrivata una netta opposizione all’ingresso dei Pro life nei consultori, con dichiarazioni per ribadire l’importanza di mantenere l’autonomia e i diritti delle donne in linea con lo spirito della legge 194, quella che regola l’aborto in Italia. Meno clamore dalle Regioni a guida centrodestra. In Lombardia, dove le associazioni sono già presenti in alcuni centri, una decisione non è ancora stata raggiunta, con la politica regionale che si divide tra chi ha accolto con favore la novità e chi preferisce approfondire il testo introdotto. Più scontato sembra il via libera in Piemonte, che in passato ha già finanziato associazioni pro-vita. Nel frattempo, enti come l’Arci e la Società italiana di ginecologia (Sigo) hanno criticato duramente la norma, giudicata “un passo indietro nei diritti e nella fiducia delle donne verso un supporto imparziale”, sottolineando invece l’importanza del ruolo del personale sanitario nei consultori.