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“Rivoluzione dei Garofani unica al mondo: noi militari riportammo la democrazia, senza violenza”: parla Vasco Lourenço, uno dei leader del golpe che liberò il Portogallo. “25 aprile? Che magnifica coincidenza”

25 APRILE 1974-25 APRILE 2024 - Ilfattoquotidiano.it ha intervistato uno dei Capitani che organizzarono il rovesciamento del salazarismo fascista del 25 aprile 1974. "Ci vollero 8 mesi di lavoro. Nel programma politico il primo punto era la fine delle guerre. Cosa resta? L'impulso di libertà in una fase storica in cui in Europa circola il fantasma di nuove dittature"

Una voce della storia. Vasco Lourenço è uno dei Capitani che ispirarono la Rivoluzione dei Garofani del 25 aprile 1974, in cui fu abbattuto il salazarismo e il Portogallo ritrovò la libertà dopo 48 anni di dittatura. Lourenço è l’unico sopravvissuto dei leader di quella rivolta: Otelo Saraiva de Carvalho è scomparso nel 2021, Ernesto Melo Antunes nel 1999, Vitor Alves nel 2011. “Vede quegli oggetti con la bandiera italiana? Sono un regalo ricevuto come simbolo del vostro 25 aprile”. Lourenço ha 81 anni ed è stato uno dei fondatori della Associaçao 25 de Abril di cui, chiusa la carriera militare come colonnello, è il presidente. La sua stanza, al secondo piano, si affaccia in una Lisbona illuminata dal sole. Il 25 aprile 1974, Vasco Lourenço era recluso nelle Azzorre, a Sao Miguel, dove era stato confinato dopo l’arresto avvenuto 45 giorni prima per la sua attività di coordinamento dei militari in rivolta.

Possiamo immaginare il suo rammarico.
Non essere quel giorno a Lisbona è la maggior frustrazione della mia vita. Raggiunsi la capitale solo alle 2 del mattino del 29 aprile. Anche nelle Azzorre la rivoluzione era stata pacifica, ma ci volle del tempo per organizzare il rientro.

Il 25 aprile portoghese è uno dei rarissimi casi in cui i militari hanno guidato una rivoluzione illuminata.
Noi militari di ultima generazione, provenienti dalla media borghesia, avevamo capito l’assurdità delle guerre coloniali. Avevamo visto sul campo, in Africa, le atrocità del conflitto. Una generazione di portoghesi era stata mandata al massacro. L’Africa si stava giustamente decolonizzando e l’unico paese che non voleva rinunciare ai possedimenti d’oltremare era il Portogallo. Il salazarismo aveva portato il paese all’isolamento internazionale. Avevamo anche ben chiara la situazione socio-economica del nostro paese. Il Portogallo era prigioniero dell’oscurantismo, con un alto indice di povertà e di analfabetismo.

Come si arrivò al 25 aprile?
Il punto di partenza fu il confronto sulle guerre coloniali. Le guerre non sono le soluzioni dei problemi: per risolvere le questioni servono la politica e una democrazia in grado di assumere decisioni importanti. La preparazione del 25 aprile richiese otto mesi di lavoro. Elaborammo un programma politico, in cui il punto di partenza fu la fine delle guerre, ma pensammo anche al dopo, ai primi passi della nuova repubblica. Il nostro 25 aprile è stato un caso unico nella storia: i militari che abbattono la dittatura per ripristinare la democrazia. In Cile, nel settembre 1973, il golpe del generale Pinochet aveva rimosso il governo di Salvador Allende, mentre in Spagna i militari sostenevano il franchismo e in Grecia c’era il regime dei colonnelli.

Il 25 aprile portoghese fu una rivoluzione non violenta: quattro morti e cinque feriti, bilancio della breve sparatoria provocata dalla Pide, la polizia di sicurezza salazarista.
Avevamo organizzato il movimento rivoluzionario con estrema cura, aprendo le porte agli altri militari. Il consenso al progetto dei Capitani aumentò di giorno in giorno in quei mesi. Anche chi all’inizio cercò di resistere, passò subito dalla nostra parte. Tutto questo consentì di condurre un’operazione senza incidenti, tranne il deprecabile episodio che portò alla morte di quattro persone.

Il suo ruolo?
Ero il responsabile operativo.

La maggior difficoltà dopo il 25 aprile?
Il pericolo maggiore fu il rischio di un controgolpe. Avevamo elaborato un programma di decolonizzazione rapida e di ritorno alla democrazia, ma l’undici marzo 1975 ci fu un tentativo, guidato dal generale Spinola, di cancellare il 25 aprile. Riuscimmo a superare la crisi senza spargimenti di sangue.

Il ruolo dei politici nel 25 aprile?
Il 25 aprile è stato un progetto condotto dal movimento dei Capitani e delle forze armate. I politici sono entrati sulla scena dopo e il partito socialista, guidato da Mario Soares, è stato il vincitore del 25 aprile, ma la rivoluzione fu organizzata e realizzata dai militari.

Perché la canzone Grandola, Vila Morena per dare il segnale del via alla rivoluzione?
Avevamo deciso di trasmettere via radio due canzoni per dare il via alle operazioni. La prima, E depois do Adeus, fu diffusa il 24 aprile, poco prima della mezzanotte. La seconda, Grandola, Vila Morena, nei primi minuti del 25, fu il semaforo verde definitivo. Andò in onda su Ràdio Renascença. Grandola, Vila Morena era stata proibita dal regime. Quella canzone popolare, con un ritmo quasi militare, era perfetta per dare il via alla rivoluzione.

I garofani sui fucili sono un’immagine entrata nella storia.
Un gesto spontaneo, nato per caso. Un militare chiese a una donna, Celeste Caeiro, lavoratrice in un ristorante, una sigaretta. Celeste non fumava, ma disse “posso darti l’unica cosa che possiedo”. Aveva in mano i garofani che avrebbero dovuto essere utilizzati per celebrare una festa in un ristorante, annullata perché era in corso la rivoluzione. Porse un garofano al soldato e poi distribuì gli altri ai militari che incontrò.

Come fu l’impatto con Lisbona all’alba del 29 aprile, al rientro dal confino delle Azzorre?
C’era un’atmosfera di allegria, ma soprattutto una bellissima aria di libertà. Una sensazione meravigliosa.

Perché fu scelta la data del 25 aprile?
Volevamo compiere la rivoluzione anticipando di qualche giorno il primo maggio. L’opzione fu un giorno tra martedì 23 e giovedì 25 aprile. Scegliemmo il 25 e fu una magnifica coincidenza con il 25 aprile italiano, un’altra festa di libertà.

Il quotidiano Pùblico ha pubblicato il 18 aprile l’esito di un sondaggio controverso: l’87% dei portoghesi considera la democrazia “la forma politica preferibile a qualsiasi altro regime politico”, ma il 47% sosterrebbe “un leader forte, senza elezioni”.
S’ingannano, ma è vero che a volte l’insicurezza si sovrappone alla libertà. Il Sebastianismo fa ancora parte della cultura di questo paese. Il Sebastianismo, legato alla morte del re Sebastiano I° nella battaglia di Alcazarquivir nel 1578, è quel sentimento che auspica il ritorno di re Sebastiano e degli splendori del passato. Quando le cose non si funzionano, si pensa all’uomo della provvidenza, ma penso che questa non sia una questione solo portoghese. Io valuto però in positivo l’ottantasette per cento dei nostri cittadini che difendono la democrazia.

Oggi il malcontento in Portogallo è cavalcato da un movimento populista di estrema destra come Chega.
Anche qui, di fronte ai numeri delle persone che hanno votato Chega, guardo in positivo ai sei milioni di portoghesi che hanno espresso altre preferenze. La cosa più importante è che la maggioranza continui a credere nei valori della libertà e della democrazia. I politici devono rispondere ai bisogni della gente comportandosi in modo responsabile, penso per esempio alla difesa del servizio sanitario nazionale. La distruzione insensata del settore pubblico a favore del privato crea situazioni che spaccano un paese. La libertà è una cosa seria, altrimenti diventa libertinaggio.

Che cosa è il 25 aprile portoghese 50 anni dopo?
È un importante impulso di libertà in una fase storica in cui in Europa circola il fantasma di nuove dittature. La giustizia sociale e la democrazia sono valori cardine della nostra civiltà. Abbiamo avuto alti e bassi in questo mezzo secolo, ma valori profondi come giustizia sociale e libertà sono oggi un patrimonio della società portoghese.