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L’altro 25 aprile: così, cinquant’anni fa, anche il Portogallo si liberava del fascismo

Nel 1974 l’Europa era ormai uscita dal buio della seconda guerra mondiale e dei regimi totalitari. La Germania ne pagava ancora il prezzo attraverso il Muro di Berlino, mentre Francia e Italia avevano visto lo splendore del boom economico che già stava tramontando. Solo la penisola iberica restava al palo, isolata dal resto del continente da due governi autoritari di estrema destra sostenuti dagli Usa in chiave anticomunista. La Spagna si libererà del franchismo nel 1975, dopo 36 anni di dittatura. Il Portogallo invece si trovava nella stessa situazione dal 1926, quasi mezzo secolo di regime.

Prima della rivoluzione dei garofani del 1974 era rara in Portogallo la famiglia che non annoverasse un membro in guerra nelle colonie africane. Il servizio militare durava quattro anni, e le opinioni contrarie alla dittatura erano duramente represse da censura e polizia. Erano proibiti i partiti politici, piene le carceri, esiliati i leader delle opposizioni, controllati i sindacati, vietati gli scioperi e vigilatissima la vita culturale.

La libertà iniziò giusto a mezzanotte del 25 aprile 1974, 29 anni dopo la stessa data chiave per l’Italia, con la trasmissione radio “Limite”, seguitissimo programma notturno, nel quale venne trasmessa una canzone proibita dal regime, “Grândola, Vila Morena”, contenuta in un disco – Cántigas do Maio di José Afonso – che si trovava invece in libera vendita. Era il segnale concordato per l’inizio della sollevazione militare. La popolazione scese in piazza per infilare nei cannoni e nelle pistole dell’esercito i famosi garofani, che divennero simbolo della rivoluzione che pose fine a 48 anni di dittatura e 13 di guerra nelle colonie africane.

In poche ore le Forze armate, invece, occuparono luoghi strategici, prendendo i vertici del regime di sorpresa: il successore di Salazar, Marcello Caetano, che governava ormai dal 1968, trasmise la sua rinuncia al potere al telefono al leader dei golpisti, il generale António de Spínola, e venne spedito in Brasile in esilio subito dopo. Una rivoluzione nonviolenta, che in 18 ore pose fine al regime fascista più vecchio del mondo: solo tre morti per la resistenza posta in atto dalla polizia politica nel momento dell’assalto al loro quartier generale.

Gli artisti e i politici tornarono dall’esilio, come Mario Soares, futuro presidente del Paese, che venne ricevuto alla stazione di Lisbona dai militari. Le colonie africane (Guinea, Mozambico e Angola) ricevettero l’indipendenza. Ma cosa accadde dopo?

Il 19 maggio la sinistra mostrò la sua forza a Lisbona, mentre i contadini dell’Alentejo (regione a centro-sud) espropriavano i latifondisti: il governo socialista vide nella capitale un palco ideale per i movimenti frustrati nel 1968. La pacata popolazione cattolica e conservatrice del nord, sentendosi ignorata, iniziò un movimento anti estremista, e il tutto portò a un doppio tentativo di golpe nel 1975, da sinistra e da destra, precipitando il paese sull’orlo della guerra civile. Nel 1976 divenne presidente eletto il generale António Ramalho Eanes, mentre il partito socialista rimase al governo ma in minoranza, esprimendo 5 primi ministri diversi tra il 1979 e il 1980. Nel 1985, il governo fu assunto da Aníbal Cavaco Silva e Mário Soares divenne presidente del Paese nel 1986, quando il Portogallo entrò ufficialmente insieme alla Spagna nella Comunità Europea.