Calcio

25 aprile – Dino Ballacci, l’asso del Bologna che scelse la Resistenza. Prima la Brigata Osoppo, poi Dall’Ara lo richiamò in squadra

Aviano è un Comune di quasi 9mila persone in Friuli-Venezia Giulia, nell’ex-provincia di Pordenone, a due passi dal confine con il Veneto. Oggi è una località nota soprattutto per la presenza della base militare utilizzata dall’Usaf (l’aeronautica militare statunitense) ma nell’autunno del 1943, dopo l’8 settembre, è parte della Repubblica Sociale Italiana, direttamente controllata dai nazisti. E qui si trova anche un 19enne calciatore. Non è una figura famosa, ma solo uno dei pezzi pregiati delle giovanili del Bologna. Si chiama Dino Ballacci, nato il 24 maggio 1924 nel capoluogo emiliano.

Trasferitosi in Friuli dopo lo scoppio della guerra, Ballacci ad Aviano viene rastrellato dai tedeschi in quell’autunno 1943. Riesce però a scappare in montagna dopo aver ucciso il suo carceriere, raggiunge la foresta del Cansiglio e si avvicina ai partigiani garibaldini delle brigate Nannetti. Nella primavera del 1944 passa nella quinta brigata Osoppo comandata da Pietro Maset, nome di battaglia Maso, combattendo nella battaglia decisiva a Piancavallo. Le Brigate Osoppo-Friuli sono una delle formazioni partigiane più attive di quella zona. Erano state fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine la vigilia di Natale del 1943, su iniziativa di volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica.

Dopo il 25 aprile 1945, Ballacci torna a Bologna. La lotta partigiana ha lasciato in lui un segno indelebile nella memoria e nel fisico. Prima del conflitto si avviava a diventare un calciatore, ora invece fa l’impiegato. Una professione che però occupa solo per poche settimane. Il presidente del Bologna Renato Dall’Ara gli offre un contratto e l’occasione di riabbracciare la sua vecchia passione. Ballacci fa così il suo esordio in Serie A il 10 marzo 1946: vittoria per 2 a 1 in casa del Venezia. Il punto di partenza di un viaggio lungo dodici stagioni, 305 partite in massima categoria e una Coppa Alta Italia vinta nel 1946. Un percorso chiuso con la fascia di capitano al braccio. Diventa inevitabilmente uno dei calciatori rossoblù più rappresentativi degli anni Cinquanta, passato da Gino Cappello al primo Ezio Pascutti. È un difensore, laterale sinistro, duro e focoso: “Io miravo al pallone, poi pazienza se prendevo le gambe”, disse una volta ad un cronista. Un temperamento deciso che non rimane isolato sul rettangolo di gioco, ma plasma il quotidiano stesso di Ballacci. In questi anni colleziona anche la sua unica presenza con la maglia della Nazionale, il 24 gennaio 1954, nella sfida contro l’Egitto per le qualificazioni per i Mondiali, a Milano (risultato finale, 5 a 1 per gli azzurri). Una partita storica per il nostro Paese, in quanto è la prima ad essere trasmessa in televisione.

A Bologna Ballacci rimane fino al 1957. Nel suo futuro ci sono altre quattro tappe: Lecco, Lucchese, Portogruaro e Portocivitanovese. Piazze di secondo piano in campionati minori. Il momento di dire “stop” arriva nel 1962, per cominciare la seconda parte della sua carriera, in panchina. Due ottimi tornei in Serie B a Prato e Reggiana lo spingono a Catanzaro. La categoria è sempre la stessa ma quello che lascia dietro di sé è molto diverso. Nel 1966 i calabresi – nonostante la militanza in cadetteria – riescono nell’impresa epica di battere la Juventus in semifinale di Coppa Italia, prima di perdere in finale, solo ai supplementari, contro la Fiorentina di Albertosi, De Sisti e Chiarugi. A Catania sfiora la massima serie, ad Arezzo lancia un 19enne Francesco Graziani, ad Alessandria vince i campionati nel 1973/74 e 1980/81 (rispettivamente in C e C2), ma in Serie A non ci arriverà mai. La sua ultima panchina è ancora quella dell’Alessandria, in Serie C2, tra il marzo e il giugno 1988. Il suo ultimo luogo in vita è invece Imola, dove muore il 6 agosto del 2013 all’età di 89 anni.