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Terminata l’ultima udienza sull’estradizione di Assange: decisione attesa nei prossimi giorni

Si deve attendere ancora per conoscere il futuro di Julian Assange. Si è conclusa nella serata di mercoledì l’ultima udienza dell’appello che stabilirà se il fondatore di Wikileaks dovrà essere estradato o meno negli Stati Uniti, dove verrà processato per la diffusione di documenti secretati sulle attività militari americane che potrebbero costargli fino a 175 anni di carcere. Ma la decisione dei giudici, che non hanno fornito alcun tipo di indicazione in merito, arriverà solo tra qualche giorno, dopo una approfondita riflessione sulle argomentazioni presentate dalle parti.

Anche oggi l’attivista, che dal 2019 è rinchiuso nel carcere di Belmarsh, a Londra, non si è presentato in aula, dopo che i suoi avvocati avevano fatto sapere che le sue condizioni di salute non erano ottimali anche a causa di cinque anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza. Il forfait è stato poi confermato da WikiLeaks sul profilo X dell’organizzazione, dove Assange viene mostrato da detenuto in foto, evidentemente invecchiato, con capelli lunghi e barba bianca. E viene indicato ancora una volta come “un prigioniero politico“. “Julian Assange – si legge nel post che presenta quello di oggi come una sorta di ‘giorno X’ – non sarà in grado di presenziare neppure alla cruciale udienza odierna a causa del protrarsi delle sue precarie condizioni di salute”. Assange, prosegue il messaggio, “rischia una condanna a 175 anni se estradato negli Usa per aver pubblicato” documenti imbarazzanti sottratti agli archivi americani.

Gli avvocati James Lewis e Claire Dobbin che rappresentano gli Stati Uniti continuano a sostenere che una sua estradizione è necessaria in quanto la diffusione dei documenti ha messo a rischio la sicurezza nazionale e “delle vite”. Dobbin, in particolare, ha sottolineato che la richiesta di estradizione del giornalista australiano è motivata dalle sue presunte azioni e non dalle sue idee politiche. E ha aggiunto che alcune fonti citate nei documenti resi pubblici hanno dovuto affrontare “profonde conseguenze“, tra cui l’arresto, la perdita di beni materiali, minacce e molestie. “Non si è trattato di uno scivolone o di un errore, si è trattato della pubblicazione di una grande quantità di materiale riservato”, ha detto Dobbin in udienza. Nelle dichiarazioni scritte, gli avvocati hanno descritto la fuga di notizie come “una delle più grandi diffusioni di informazioni riservate nella storia degli Stati Uniti”. Inoltre, “pubblicando queste informazioni sul sito Wikileaks” Assange “ha provocato un rischio grave che le fonti menzionate potessero subire gravi danni fisici”. Dobbin ha quindi fatto notare che “l’amministrazione degli Stati Uniti ovviamente è cambiata durante questi procedimenti, ma ciò nonostante l’accusa contro il ricorrente rimane in piedi. Perché si basa sulla legge e sulle prove, non sulla politica”.

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