Calcio

Più squadre, più partite, più soldi (sempre agli stessi): la Champions di Ceferin accentua lo status quo per paura della Super Lega

Per l’ultima volta la Champions League come l’abbiamo conosciuta nelle recenti stagioni. Dalla prossima edizione cambieranno infatti sia il format che la distribuzione finanziaria, quest’ultima una voce che per i grandi club, riuniti nella ECA, conta ancora più del trofeo stesso. La dimostrazione arriva proprio dalla nuova divisione delle risorse, frutto di un negoziato con la UEFA agitando la minaccia della Superlega, alla quale la massima federazione calcistica europea può opporsi solo trasformando la propria competizione di punta, la Champions League, in una coppa sempre più elitaria. In realtà lo è già, basti pensare che dal 2016, anno di inizio della presidenza di Alexander Ceferin, l’unica squadra fuori dalla cinque grandi competizioni che ha avuto una chance reale di arrivare in fondo alla Champions e vincerla è stato l’Ajax di Erik ten Hag. Non proprio un esempio di quel “competitive balance” che Ceferin ha sempre dichiarato di voler incrementare. È quindi bastato, per il nuovo sistema, limitarsi ad adottare parametri che garantissero il mantenimento dello status quo vigente, innaffiando il tutto con una montagna di denaro.

Più soldi, più partite, più squadre: l’equazione è semplice. Come noto, dal prossimo anno la fase a gironi delle coppe europee passerà da 32 a 36 squadre, con ciascuna di esse che giocherà 8 partite contro 8 avversari diversi (6 in Conference) in un calendario determinato tramite sorteggio ponderato. Le prime otto accederanno direttamente alla fase a eliminazione diretta, mentre le squadre dalla nona alla sedicesima posizione disputeranno un play-off per determinare il secondo gruppo che comporrà gli ottavi di finale. Le rimanenti verranno eliminate, senza più retrocessioni nella coppa inferiore. Un format extra large che sta già dando i propri frutti a livello economico, visto l’accordo con la Paramount che ha raddoppiato i ricavi televisivi provenienti dagli Stati Uniti. In Europa invece i prezzi sono stati ancora relativamente contenuti, ma anche con una stima al ribasso di circa 400 milioni rispetto a quanto previsto inizialmente dalla UEFA (4.8 miliardi di fatturato) si arriverebbe tranquillamente a superare la cifra attualmente generata dalle competizioni europee, ovvero 3.5 milioni.

Il 75% di questo fatturato viene redistribuito, mentre il rimanente 25% è utilizzato per coprire i costi organizzativi, erogare il contribuito di solidarietà ai club eliminati nelle fase preliminari o non qualificati alle competizioni europee (si tratta di un sussidio finalizzato a investimenti nei settori giovanili), e pagare la UEFA. La Federazione percepisce infatti una commissione del 6.5% sul fatturato, al netto delle spese organizzative e del contributo di solidarietà. Tale quota ammonta a circa 230 milioni, il che significa che almeno fino al 2027 la UEFA incasserà ogni anno più della società vincitrice della Champions League. Tornando alla parte che interessa di più ai club, ovvero la redistribuzione delle risorse, ipotizzando un fatturato di 4.4 miliardi di euro si arriverebbe a 3.3 miliardi da dividere. Di questa cifra, il 74% viene destinato alla Champions League, il 17.5% all’Europa League e l’8.5% alla Conference League, per un riparto rimasto invariato rispetto al ciclo 2021-2024. In un sistema già fortemente squilibrato, mantenere intatte queste percentuali rappresenta un chiaro indicatore di come il mantenimento dello status quo attuale e la volontà di lisciare il pelo alle big siano stati gli obiettivi principali del nuovo format. Con queste cifre, infatti, la Champions otterrà oltre 400 milioni in più (da 2.032 milioni a 2.477 milioni), contro i 102 dell’Europa League (da 465 a 567 milioni) e i 51 della Conference (da 235 a 286 milioni). Fa quasi tenerezza vedere l’intera Conference ricevere appena una manciata di milioni in più rispetto alla commissione annuale che percepisce la UEFA.

Dal 2024 quindi il montepremi delle squadre di Champions League sarà superiore di quasi 2 miliardi rispetto a quello dei club di Europa League. Attualmente la differenza ammonta a un miliardo e mezzo. Quando Ceferin è entrato in carica, questo divario era di 900 milioni. Sotto la guida dello sloveno è cresciuta anche la differenza relativa tra la prima e la seconda divisione d’Europa: se prima per ogni euro ricevuto dall’Europa League ne andavano 3,3 alla Champions, adesso il rapporto è di 4,4. La causa di questo incremento è derivata anche dalla nascita della Conference League, il cui peso economico è stato sostenuto principalmente togliendo risorse all’Europa League. Questa sproporzione di fatto annulla la nuova ripartizione prevista per le singole società. Fino a oggi questa avveniva secondo quattro voci: qualificazione alla competizione, prestazioni, market pool e il famigerato coefficiente, quest’ultimo un autentico bonus per ricconi che premiava la bacheca dei club. Considerato che tale coefficiente pesava per il 30% in Champions League (però la quota, guarda caso, si riduceva al 15% per l’Europa League e al 10% per la Conference), ciò ha fornito negli ultimi sei anni ai top club la garanzia di incamerare cifre notevoli indipendentemente dal loro effettivo rendimento nella competizione, potendo quindi mantenere il proprio vantaggio economico su tutte le avversarie non appartenenti all’elite. Con tanti saluti all’Atalanta di turno.

Il nuovo format riduce da quattro a tre le citate voci di riparto delle risorse per singolo club, accorpando il coefficiente al market pool, ovvero la quota determinata dagli importi dei diritti televisivi che la UEFA incassa nei paesi che hanno squadre iscritte alla competizione. Anche in questo caso, si tratta di un criterio che favorisce le grandi leghe, paesi dove notoriamente c’è maggiore presenza e concorrenza di emittenti e broadcasters. Queste due voci, riunite in una, sono passate in Champions e in EL dal 45% al 35%, a favore di un incremento della quota relativa alle prestazioni sul campo. E’ questo il punto sul quale batte molto la UEFA quando parla della riduzione del pericolo di uno squilibrio economico, e di conseguenza anche sportivo, sempre maggiore. Peccato che, come visto, il divario economico tra Champions e EL non sia mai stati così elevato. A livello economico si tratta di un format nel quale vincono tutti, o quasi: i top club ottengono più soldi, la UEFA più partite, le Federazioni un maggiore contributo di solidarietà. Per il resto, sarà tutto come prima. Anche peggio.