Cronaca

Sanità, fuga dal Sud: meno prevenzione e mortalità più alta. E il 22 per cento dei pazienti oncologici si è dovuto curare al Nord

Servizi di prevenzione e cura più carenti, minore spesa pubblica sanitaria, più lunghe distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi: è sempre più ampio il divario sanitario tra Sud e Nord Italia, con il meridione che vede in generale peggiori condizioni sanitarie e mortalità per tumori più elevata. È quanto emerge dal report ‘Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute’, promosso da Svimez in collaborazione con Save the Children e presentato il 7 febbraio. “Aumentare la spesa sanitaria – si legge nel rapporto – è la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo di riparto regionale del Fondo per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. L’autonomia differenziata, inoltre, rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute”.

Nel 2022 dei 629mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un Servizio sanitario regionale del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. Ed è la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche dal Sud verso il Centro-Nord: l’indice di fuga, cioè il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza, nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pediatrici.

La crescita della spesa sanitaria, rileva il report, si è arrestata dopo l’emergenza Covid, “con i divari territoriali che restano ampi”. In base alle recenti valutazioni del Crea (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro). Sempre nel meridione, la speranza di vita è minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore, pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. “I dati del report – sottolinea il dg della Svimez Luca Bianchi – offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute”. Mentre per Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia – Europa di Save the Children, “la condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate”. Infine, per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “il nostro Servizio sanitario nazionale è ormai profondamente indebolito e segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali. E con l’attuazione delle maggiori autonomie in sanità si legittimerà normativamente la ‘frattura strutturale’ Nord-Sud: il meridione sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord, minando l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Uno scenario già evidente: su 14 Regioni adempienti ai Lea solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica, mentre la fuga per curarsi verso il Nord vale 4,25 miliardi di euro”.

Intereressante analizzare anche la classifica di interventi di chirurgia oncologica: il Nord è sempre in testa davanti al Centro. A stabilirlo è Ropi (Rete Oncologica Pazienti Italia), che ha presentato una nuova mappa aggiornata, al ministero della Salute ed elaborata partendo dai dati dell’ultimo Programma Nazionale Esiti di Agenas. Si tratta di un indicatore di affidabilità delle strutture sanitarie che dà garanzie di sicurezza ed efficacia. In questo ambito, il settentrione mantiene il primo posto nelle classifiche per centri ‘sopra soglia’, ovvero che hanno compiuto un numero alto di operazioni (il limite fissato è diverso a seconda del tipo di tumore considerato), mentre il Sud è in crescita, ma con solamente 3 Regioni virtuose, Puglia, Campania e Sicilia, che coprono tutte le patologie considerate. Complessivamente quasi un ospedale su 2 esegue interventi sotto soglia, e solo 13 hanno il bollino di qualità per i percorsi assistenziali.