Politica

Chiara Saraceno: “Assegno inclusione? Punisce i più fragili ed è in totale contraddizione con la propaganda del governo Meloni sulla natalità”

Assegno di inclusione? La platea dei percettori è ridottissima, riesce a escludere famiglie povere che un tempo rientravano nel reddito di cittadinanza. Questo accade perché è stato ridefinito in modo fortemente categoriale il sostegno ai poveri, quindi gli adulti senza figli minorenni sono esclusi per definizione, a prescindere dalle loro possibilità effettive di trovare un lavoro. Ma anche coloro che formalmente potrebbero accedere all’assegno di inclusione trovano di fatto ostacoli aggiuntivi che nulla hanno a che fare col bisogno”. Sono le parole pronunciate ai microfoni di Radio Radicale dalla sociologa Chiara Saraceno, honorary fellow presso il Collegio Carlo Alberto di Torino, ex presidente della Commissione d’indagine sulla povertà e sull’esclusione sociale, già presidente del comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza.

Saraceno spiega minuziosamente la poderosa scrematura che il governo Meloni ha attuato della platea che può accedere all’assegno di inclusione (Adi): “Ci sono i cosiddetti ‘esodati dell’Adi’, cioè tutti gli adulti non particolarmente fragili, non ancora sessantenni, che non vivono in famiglie con minorenni o con persone disabili. Questa è stata la prima grossa esclusione, ma poi ci sono anche gli esclusi che hanno apparentemente i requisiti, cioè un Isee di 9.360 euro. Ma questo non è sufficiente, perché bisogna rispettare altre 3 condizioni: un reddito inferiore ai 6mila euro annui, non possedere una casa dal valore superiore a un tot, non avere risparmi superiori a un tot”.

La sociologa evidenzia: “Nel conteggio di chi conta come famiglia per valutare i 6mila Euro di reddito sono esclusi tutti gli adulti che non siano ultrasessantenni o disabili. E quindi questo abbassa di molto il tetto massimo di reddito che si può avere, perché se una famiglia è composta da due adulti e un minorenne che abbia più di 3 anni, vale un solo adulto e il minorenne conta pochissimo. Già contava troppo poco nel reddito di cittadinanza, ora è stato ulteriormente abbassato il coefficiente attribuito ai minorenni: 0, 15, che si abbassa ulteriormente a 0, 10 dal terzo figlio in su”.

E aggiunge: “Quindi, una famiglia con minorenni sopra i 3 anni fa presto a uscire dal reddito di cittadinanza pur avendo l’Isee giusto, perché, appunto, supera facilmente i 6mila Euro di reddito che sono la soglia massima possibile. Già succedeva con il reddito di cittadinanza: le famiglie che più facilmente non riuscivano a rispettare il requisito del reddito erano paradossalmente le famiglie numerose con minorenni. Questo avviene ancora di più con l’Adi, quindi è anche in contraddizione con tutta la propaganda di questo governo sulla natalità e sul sostegno delle famiglie con figli”.

Altra restrizione che riduce ulteriormente la platea dei potenziali percettori dell’assegno di inclusione riguarda tutti gli adulti under 60, non conviventi con i genitori, non coniugati e senza figli: se privi di un reddito proprio sono considerati a carico dei genitori, quindi parte del nucleo famigliare di questi ai fini del calcolo dell’Isee e di tutti gli altri requisiti. Saraceno spiega: “È una norma del 2013, che non è stata applicata per il reddito di cittadinanza in nome del sostegno all’autonomia dei giovani e degli adulti in generale. È stata invece reintrodotta con l’Adi. Questa restrizione colpisce particolarmente le persone disabili che vivono da sole, che non sono coniugate, che non hanno figli – continua – che hanno soltanto l’assegno sociale e che faticosamente fanno un percorso di autonomia. Anziché essere sostenuti in questo iter, vengono ridefiniti automaticamente come figli e quindi esclusi dall’accesso autonomo all’Adi. Purtroppo in tanti mi hanno scritto di questo problema: figli ultraquarantenni che percepivano il reddito di cittadinanza e che poi se lo sono visti togliere perché, in base alle nuove regole, sono stati definiti come figli dal punto di vista fiscale”.

E sottolinea: “Tutto questo questo contribuisce a ridurre fortemente la platea dei potenziali percettori dell’assegno di inclusione e sta destando sorprese in quelle famiglie che avrebbero tutti i requisiti formali e che prima ricevevano il reddito di cittadinanza, ma che si ritrovano improvvisamente a non ricevere più un sostegno per il combinato disposto di queste due nuove condizioni e per il funzionamento perverso dei coefficienti. Non è un caso che la ministra Calderone abbia dichiarato che il 50% di famiglie che aveva l’Isee conforme è stato escluso per il superamento dei 6mila euro di reddito”.

Staffilata della sociologa anche al sostegno per la formazione e il lavoro: “Questa è un’altra tragedia, che si aggiunge al fatto che per accedere all’Adi occorre essere i più poveri dei poveri. La valutazione del governo è che se non hai figli minorenni e se non sei un disabile certificato, anche se hai 59 anni, devi lavorare. È ovvio che molte di queste persone vorrebbero lavorare, ma se hai 59 anni, hai una bassa qualifica e per molto tempo sei stato lontano dal mercato del lavoro, è difficilissimo”.

E puntualizza: “Si tratta, insomma, di un’astratta visione dei motivi per cui uno è povero. In più, come purtroppo accadeva per il reddito di cittadinanza, si dice che bisogna frequentare i corsi di formazione al lavoro. Ma su questo versante lo Stato non si assume nessuna responsabilità. Nulla è stato modificato rispetto a quello che è stato il più grande difetto del reddito di cittadinanza, cioè l’assenza di politiche attive del lavoro, il ritardo della presa in carico di un potenziale lavoratore, la scarsa attenzione per le condizioni locali del mercato del lavoro. Non si fa niente, si dice semplicemente che ti devi iscrivere a un corso di formazione. Non c’è nessuna assunzione di responsabilità da parte della politica pubblica”.

Saraceno, infine, stigmatizza la mancanza di un monitoraggio su coloro che percepiranno o meno l’assegno di inclusione: “Le prime notizie che sono arrivate sono quelle comunicate lo scorso 26 gennaio dalla ministra Calderone, che peraltro ha fornito dati sbagliati, perché aveva raddoppiato il numero dei beneficiari e poi è stata costretta a correggersi. C’è da chiedersi dove prenda le informazioni o chi gliele fornisca. In ogni caso – spiega – al momento sappiamo pochissimo. Ad esempio, per il sostegno alla formazione e al lavoro, i dati dovrebbero esserci già dal 1 agosto 2023 perché è da quella data che coloro che hanno perso il reddito di cittadinanza hanno avuto accesso al sostegno alla formazione. Quindi, potrebbero darci almeno quelle informazioni: cosa è successo, quali corsi di formazione sono stati avviati, quali caratteristiche avevano, qual era la loro distribuzione o la loro qualità”.

E conclude: “Questo dovrebbe fare un ministero o un ente pubblico, non è certo compito dell’Inps dare queste informazioni e controllare che cosa succede, e non solo sul versante degli imbrogli, che ormai sono la grande preoccupazione da sempre, anche per il reddito di cittadinanza, ma anche sulla qualità del servizio fornito. Sul reddito di cittadinanza – chiosa – ci si è lamentati dei ‘fannulloni sul divano’ e poi si è scoperto che l’attesa media necessaria per la prima convocazione era 8 mesi, con grandi variazioni territoriali. E qualcuno dopo 12 mesi non è stato neppure convocato. E allora che offerta di formazione è stata fatta finora? Nessuna”.