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“Una tregua fino a due mesi in cambio di tutti i 130 ostaggi”: la proposta di Israele ad Hamas

Una tregua fino a due mesi in cambio di tutti gli oltre 130 ostaggi tenuti ancora prigionieri a Gaza. E’ la proposta che Israele ha presentato ad Hamas, attraverso la mediazione del Qatar e dell’Egitto. A rivelarlo al giornale online statunitense Axios sono stati due funzionari israeliani. Si tratterebbe del periodo di cessate il fuoco più lungo da quando è iniziata la controffensiva israeliana dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Le fonti di Axios hanno spiegato che lo Stato ebraico si aspetta una risposta da Hamas, sottolineando di essere cautamente ottimiste sulla capacità di compiere progressi nei prossimi giorni. La conferma è arrivata poi anche dalla tv israeliana Channel 12 che ha citato lo stesso Netanyahu che ha annunciato l’iniziativa del governo durante un incontro con una delegazione di familiari degli ostaggi.

Nel dettaglio, racconta Axios, la proposta di accordo prevederebbe il rilascio di tutti gli ostaggi vivi e la restituzione dei corpi degli ostaggi morti in più fasi. La prima fase prevede il rilascio di donne, uomini di età superiore ai 60 anni e ostaggi in condizioni mediche critiche. Le fasi successive includerebbero il rilascio delle donne soldato, degli uomini di età inferiore ai 60 anni non militari, poi dei soldati e infine dei corpi degli ostaggi.

Israele e Hamas dovranno poi accordarsi su quanti prigionieri palestinesi dovranno essere rilasciati per ciascun ostaggio israeliano, a seconda della categoria, e poi si dovrebbero svolgere negoziati separati sui nomi dei prigionieri. Secondo i funzionari, inoltre, Israele ridistribuirebbe le forze di difesa in modo che alcune vengano spostate dai principali centri abitati dell’enclave, consentendo un graduale ritorno dei civili palestinesi nella città di Gaza e nel nord della Striscia. I funzionari israeliani hanno sottolineato come la proposta chiarisca che Israele non accetterà di mettere fine alla guerra e non accetterà di rilasciare tutti i circa seimila prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Inoltre, secondo Channel 12, Israele accetterebbe di “modificare la portata” delle sue truppe a Gaza.

E’ chiaro che quella per la liberazione degli ostaggi è diventata una corsa contro il tempo per Netanyahu non si può più permettere di portare troppo in là la questione. Proprio nella giornata di lunedì dalle strade la protesta delle famiglie degli ostaggi è piombata in Parlamento con la richiesta al governo di fare di più “per riportare a casa i rapiti prima che sia troppo tardi”. Un gruppo di parenti, senza che i commessi riuscissero a trattenerli, ha fatto irruzione durante la seduta della commissione Finanze della Knesset interrompendone i lavori. Urla, invettive, minacce, braccia tese in alto con i cartelli con le foto dei loro cari. Un clima di forte tensione emotiva che ha paralizzato i deputati della commissione e portato alla sospensione della seduta: immagini che hanno fatto il giro del mondo. “Contrariamente a quanto si sostiene – si è difeso Netanyahu – non c’è una proposta sincera da parte di Hamas. Voglio dirlo nella maniera più esplicita. Anche perché ci sono molte notizie non corrette che di sicuro vi causano dolore”. Fatto sta che i familiari degli ostaggi hanno montato le loro tende anche sotto la residenza del premier a Gerusalemme dopo le forti manifestazioni dei giorni scorsi a Cesarea, davanti alla casa privata di Netanyahu, e in piazza a Tel Aviv. Una protesta che si mischia sempre di più con le richieste di dimissioni del governo di destra e di nuove elezioni, senza contare l’isolamento che Israele sta subendo a livello internazionale con il rifiuto di Netanyahu della soluzione dei due Stati.

Nel rovente clima politico sugli ostaggi, i laburisti israeliani – detentori di 4 seggi su 120 in Parlamento – hanno provato, anche simbolicamente, a smuovere le acque presentando alla Knesset per la prima volta dall’avvio del conflitto una mozione di sfiducia nei confronti del governo che – non sorprendentemente – ha avuto 18 voti a favore (contro zero, perché tutti gli altri sono usciti dall’Aula) ma non ha raggiunto il quorum di 61 voti su 120 che avrebbe portato alla caduta dell’esecutivo. Alla coalizione di maggioranza di destra è bastato uscire dall’aula al momento del voto per vanificare ogni possibilità di sfiducia concreta.