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Viaggio nelle storiche palestre di boxe a Londra, dove i ragazzini calcano lo stesso ring dei campioni. Tra tanfo e musica, come in un film

Sul ring dalle misure regolamentari i due bimbetti di otto anni appaiono ancora più piccoli con indosso i guantoni da boxe e il caschetto per proteggersi dai colpi. Uno veste la canotta verde, l’altro quella gialla: sono i due colori del club pugilistico più antico della Gran Bretagna. Il maestro all’angolo, anzi è dentro al quadrato appoggiato alle corde tanto di spazio ce n’è, urla indicazioni ad entrambi i mini boxeur. Una vecchia radio impolverata suona i Rolling Stones, ma la voce di Mick Jagger non supera quella del vecchio allenatore. Siamo alla Repton Boxing Club di Londra, è sabato mattina, il giorno in cui la palestra dell’East End è aperta solo per pugili più giovani e al massimo per i genitori che a bordo ring assistono alla seduta dei figli.

Fondata nel 1884, all’interno della palestra si respira la storia della boxe in un Paese come l’Inghilterra in cui il pugilato è ancora una cosa seria. Alla Repton sono entrati in tutto più di quarantamila pugili e da qualche anno qui ha cittadinanza anche la boxe femminile. Oltre ad essere la palestra più vecchia in assoluto di tutto il Regno Unito, questa è considerata la casa dei campioni, centinaia lo sono diventati a livello nazionale, alcuni si sono spinti ancora più in alto. Qui per esempio è cresciuto Lerrone Richards, che tre anni fa ha sconfitto il nostro Giovanni De Carolis per l’Europeo, e i fratelli Dubois, Daniel e Carolina. Di quelli non più in attività va ricordato il campione del mondo Maurice Hope, che gli italiani hanno conosciuto nei Settanta e Ottanta per aver sconfitto Vito Antuofermo, Vincenzo Ungaro, Rocky Mattioli (due volte) prima di chiudere la carriera con una sconfitta a Wembley con Luigi Minchillo per il titolo europeo dei Superwelter.

La palestra nasce nell’Ottocento come Repton Public School, dove oltre allo studio si praticava anche molto sport, poi negli anni rimarrà solo una attività, appunto quella della boxe. Oggi si trova all’interno di un edificio che un tempo ospitava un bagno pubblico vittoriano. I muri all’interno sono scrostati, le pareti sono tappezzate di foto dei pugili più vittoriosi. Non dà certamente l’idea di un centro benessere in un hotel a cinque stelle, anche se il puzzo non supera quello di tante altre palestre. E no, non è neanche particolarmente sporco. Sembra piuttosto di essere dentro a un film. Forse è questo che distrae. Al fascino di questo posto infatti non ha resistito il regista Guy Ritchie, che qui ha girato scene di Lock & Stock e del più recente The Gentlemen. Nei Novanta anche i Take That hanno fatto un videoclip, con Robbie Williams che anni dopo è ritornato per una pubblicità.

Non solo pugili in erba e campioni (anche olimpici). Nella sede precedente della Repton, comunque sempre in zona Bethnal Green, hanno mosso i primi passi sul ring anche i gemelli Kray, nati nel 1933 e diventati professionisti nel 1951. Ronnie e Reggie non sono però diventati famosi come pesi Welter bensì come criminali incalliti tanto da prendersi nel 1969 entrambi un ergastolo. Su di loro sono stati girati film e scritto libri anche per via di una loro vicinanza con personaggi famosi nella Swinging London dei Sessanta. Sulla porta d’entrata si trovano la scritta “No Guts, No Glory” (“Senza Coraggio, non c’è Gloria”) e un ritratto di Tony Burns, leggendario allenatore gallese che ha partecipato a 11 olimpiadi (compresa quella di Londra 2012) con i pugili della Repton e che come i Beatles ha ottenuto dalla regina il privilegio di essere Member of the order of the British Empire. Esiste un documentario della BBC anni Novanta in cui si vede Burns, scomparso a 80 anni nel 2021, in auto che va a trovare in carcere i gemelli Kray. Poche centinaia di metri da quella porta d’ingresso nera si trova il Brick Lane, un chilometro di strada urbana detto anche Banglatown, che negli ultimi anni è diventato una zona artistica e culturale piena di murales, negozi di abbigliamento usato e librerie.

Percorso tutto il Brick Lane, poco oltre si trova un’altra palestra. Si chiama 12×3 e già dall’esterno non si può non notare la scritta che vi appare, ancora una volta “No Guts, No Glory”. La 12×3 Boxing è stata fondata nel 2018 da due figliocci della Repton, Darrel Barker e Ryan Pickard. Quest’ultimo qui fa il maestro e, dopo essere stato capitano della Repton per dieci anni, continua ad esserne il vicepresidente. “Io e Darren – dice Pickard a ilfattoquotidiano.it – volevamo creare qualcosa di cui essere orgogliosi. Insegnare l’arte della boxe e dare una mentalità che possa servire anche nella vita di tutti i giorni. La Repton è talmente leggendaria che non può essere emulata ma solo omaggiata, infatti anche qui si trova il motto No Guts, No Glory, la poesia Don’t Quit, la scala svedese e nello spogliatoio piastrelle che richiamano lo stile della Bath House. Ci sono ovviamente delle diversità, la Repton ha avuto più campioni di qualsiasi altro club all time, là non trovi posto se non hai la stoffa di competere come pugile, ma con questo approccio nel 2024 la 12×3 non può sopravvivere a livello economico e così da noi sono tutti benvenuti anche chi non vuole fare incontri ufficiali. Rimaniamo però molto severi sulle cose che ci hanno insegnato alla Repton: arrivare in orario all’allenamento, essere rispettosi dei maestri e degli altri pugili, trattare lo spazio come fosse tuo e dare sempre il cento per cento. Perché pensiamo che con questo atteggiamento otterrai il massimo, non solo nella boxe ma anche nella vita”. In questi pochi anni dalla fondazione, la 12×3 ha ospitato già alcuni fuoriclasse di questa era, passati per un allenamento o per una sessione di guanti come Usyk, Lomachenko, Joshua o ex campioni come Roy Jones Jr e Joe Calzaghe. Lo stesso cofondatore Darrel Barker è stato campione mondiale dei medi Ibf. La palestra, contemporanea ma con il rispetto della storia, può diventare anche location per shooting fotografici.

Il viaggio nella boxe londinese non ruota solo attorno alla Repton. Ci sono altri luoghi ricchi di fascino. La versione moderna di questo sport del resto è nata qui nel XVIII secolo. La boxe inglese non vive momenti di crisi. Per fare un esempio, nella categoria regina dei pesi massimi, stando al sito Boxrec.com, ci sono quattro inglesi tra i primi dieci. E oltre ad Anthony Joshua, Tyson Fury, Daniel Dubois e Joe Joyce, scalpitano i più giovani Fabio Wardley e Moses Itauma. Alle ultime Olimpiadi di Tokyo la Gran Bretagna ha portato a casa sei medaglie, due per ogni colore. In Uk gli appassionati seguono la boxe dal vivo (recentemente si sono riempiti il nuovo stadio del Tottenham e Wembley) oltre che in tv e in edicola si trova ancora tutte le settimane il magazine, nato nel 1909, Boxing News.

The Ring Boxing Est. 1911 sorge sotto ad una ferrovia sopraelevata. Tutto è nuovo e ordinato. Due ring, i classici attrezzi, un caffè per fermarsi dopo l’allenamento e in fondo alla sala, accanto ai sacchi, si trova la postazione di un barbiere con sedia, specchio e tutto l’occorrente. Può sembrare strano ma non è l’unica palestra dove ci si può fare barba e capelli. L’originale The Ring è stata fondata nel 1910 da Dick Burge ed è stata distrutta nell’ottobre 1940 da un raid aereo durante la Seconda guerra mondiale, dopo essere stata sede di circa 22mila incontri. Anche il mitico Al “Panama” Brown ha combattuto qui nel 1933. La palestra che oggi porta lo stesso nome sorge a pochi passi dalla vecchia sede. Vicinissimo c’è anche The Ring Free House, un pub lì da decenni tappezzato di foto dei pugili di un tempo, che nel tardo pomeriggio si riempie di studenti e lavoratori che si fermano a farsi qualche pinta prima di rincasare. Il maestro di The Ring è Frank Greaves, uno che ha iniziato a boxare a 12 anni alla Peacock Gym in East London, altro luogo iconico che dal 1978 ha ospitato Sugar Ray Leonard, Frank Bruno, Prince Naseem Hamed, Lennox Lewis e Floyd Mayweather jr. Nel 2009 Greaves ha iniziato ad allenare il fratello professionista, il mestierante Johnny, poi lo è diventato anche del peso massimo David Adelaye. “La Peacock che ho vissuto io – spiega Greaves a ilfattoquotidiano.it – era un posto molto amichevole ma ultra competitivo. Al The Ring voglio continuare con quello stesso atteggiamento e con quello della originale The Ring, che ha alle spalle una storia immensa“.