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Mario Vanacore, il figlio del portiere di via Poma: “Ho visto Simonetta Cesaroni già morta, ce l’hanno con la mia famiglia”

Lo dice in un’intervista a La Stampa Mario Vanacore, indicato come possibile killer di Simonetta Cesaroni nell’informativa che i carabinieri hanno consegnato ai magistrati della procura di Roma nell’ambito della nuova indagine sull'omicidio

“L’unica volta che ho visto Simonetta Cesaroni era morta“. Lo dice in un’intervista a La Stampa Mario Vanacore, indicato come possibile killer di Simonetta Cesaroni nell’informativa che i carabinieri hanno consegnato ai magistrati della procura di Roma nell’ambito della nuova indagine sull’omicidio. “Ce l’hanno con la mia famiglia – commenta -. Magari qualcuno che abbiamo anche querelato”. Vanacore ha presentato un esposto in primavera, insieme al suo avvocato, per “calunnia e diffamazione. Ero stanco di essere indicato come responsabile del delitto di via Poma”.

Si dice “sconcertato. Arrabbiato, molto arrabbiato. La mia posizione era stata esclusa anni fa”. Di quel 7 agosto 1990 Mario Vanacore si ricorda tutto. Il figlio del portiere di via Poma afferma di essere “arrivato a Roma per combinazione. Ed ero presente quando abbiamo trovato la ragazza”. “Quando è stato ritrovato il corpo della ragazza abbiamo bloccato sua sorella perché non lo vedesse. Io e il suo fidanzato siamo entrati nella stanza, ci siamo chiusi dentro e abbiamo chiamato i soccorsi”. Una scena che Vanacore non dimentica anche se “c’era una luce debole e non ho visto tanto sangue. Solo un alone intorno ai capelli. Quell’odore lo ricorderò per tutta la vita“. Mario Vanacore aggiunge che non conosceva “né Simonetta né quegli uffici”. Secondo le accuse, era andato lì per fare gratuitamente delle telefonate interurbane: “È assurdo. Com’è assurdo il fatto che vogliano chiudere questa storia in questo modo” dicendo “forse è stato Mario Vanacore, ma non abbiamo le prove”.

Quanto all’orario dell’omicidio, spiega che “con mio papà e la mia matrigna abbiamo pranzato e siamo andati a dormire. Ci siamo alzati verso le 17. Siamo andati in farmacia, dal tabaccaio, in altri luoghi”. Con il padre, aggiunge, “non è che siamo stati sempre insieme. Poi abbiamo cenato e lui è andato a dormire dal signor Valle, che era anziano”. Dopo “sono arrivati alcuni personaggi che hanno bussato alla porta e ci hanno chiesto se potevamo andare a cercare la ragazza in ufficio”, ed è seguita la scoperta del cadavere di Simonetta Cesaroni. Ma spiega, “non l’avevo mai vista prima”. Vanacore dice poi di credere a un possibile coinvolgimento dei servizi segreti ma senza fornire elementi a supporto.

Il padre Pietro, detto Pietrino, allora portiere dello stabile è stato il primo sospettato: “La nostra vita è segnata. Viviamo con questa spada di Damocle sulla testa. Il 9 marzo 2010 mio padre si è suicidato. La mia matrigna è sola e non sta bene”. Ora “stiamo rivivendo quei momenti”. Mario Vanacore non ha mai parlato con la famiglia di Simonetta Cesaroni: “Avrei voluto farlo. Ma ho sempre avuto l’impressione che ce l’avessero con noi“. Anche adesso “forse non è il momento buono. Però vorrei esprimere loro la mia vicinanza. Nemmeno loro hanno giustizia”. Quanto alla sua agenda telefonica che risulterebbe tra gli oggetti ritrovati in quell’ufficio in realtà “apparteneva a mio padre. Fu ritrovata, dicono, dal papà di Simonetta fra gli effetti personali della figlia e restituita in questura. Stranamente – conclude – di quella agenda non c’è traccia fra i reperti. Scomparsa”.