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La fine dell’asse degli Usa coi curdi, gli F-16 e l’ok di Ankara alla Svezia nella Nato: Blinken ed Erdogan non hanno parlato solo di Gaza

Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha incontrato nuovamente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan questo sabato ad Ankara per discutere dell’andamento dell’operazione israeliana contro Gaza e della vendita degli F-16 alla Turchia. Quest’ultimo tema è particolarmente caro al capo di Stato turco e continua a incidere sul processo di adesione della Svezia alla Nato. Al momento la vendita dei jet è ferma a causa dell’opposizione del Congresso statunitense, ma se l’affare dovesse andare in porto a pagarne le conseguenze sarebbero prima di tutto i curdi del Rojava. Con effetti negativi anche sulle operazioni di contrasto all’Isis.

Il Sultano vuole i Caccia – Per Erdogan ottenere i nuovi jet americani e i pacchetti di aggiornamento per gli F-16 già in dotazione all’aeronautica turca è indispensabile per evitare che le sue forze aree diventino obsolete, soprattutto nel momento in cui la Grecia è riuscita a ottenere dagli Usa i più recenti F-35. A questi jet era interessata anche la Turchia, ma l’acquisto dei sistemi di difesa russi S-400 ha mandato in fumo l’accordo con gli Stati Uniti, costringendo la Turchia a ripiegare sugli F-16 o su altri modelli prodotti in Europa. Erdogan infatti è in trattative anche per l’acquisto dei Typhoon e sembra interessato ai Saab JAS 39 Gripen della Svezia. In entrambi i casi però ci sono dei problemi difficili da superare: la Germania, coinvolta nella costruzione dei caccia europei, è contraria a un accordo con la Turchia, mentre la Svezia è da tempo ai ferri corti con Ankara per la questione dell’adesione alla Nato. Stoccolma infatti è ancora in attesa del via libera definitivo da parte del parlamento turco, mentre Ankara continua a chiedere agli Usa gli F-16 come moneta di scambio.

Raid sui curdi – Per il presidente americano non ci sarebbero problemi a vendere i caccia alla Turchia, ma il Congresso non è d’accordo con Joe Biden. Fino a poco fa i consiglieri temevano che Ankara potesse usare gli F-16 contro al Grecia, con cui la Turchia ha delle dispute territoriali aperte, ma il recente riavvicinamento tra le due parti rende meno giustificabile l’opposizione del Consiglio. A guardare con preoccupazione alla vendita dei jet ad Ankara sono però i curdi del Rojava, ancora una volta sotto attacco. La Turchia negli ultimi mesi ha intensificato i bombardamenti contro il nord della Siria utilizzando non solo i droni ma anche gli F-16 già in dotazione alle sue forze aeree.

L’asse Usa-Curdi – A finire nel mirino sono state anche le infrastrutture civili: come denunciato dall’Amministrazione autonoma, le bombe turche hanno colpito stazioni, centrali elettriche, siti di stoccaggio del carburante e del grano, industrie e sedi politiche. Secondo i dati Syrian Observatory for Human Rights, l’osservatorio con base a Londra, nel 2023 la Turchia ha condotto 117 attacchi contro il Rojava, l’ultimo il 23 dicembre. Ufficialmente, il bombardamento di fine anno è arrivato in risposta all’attacco del Partito dei lavoratori curdo (Pkk) contro i soldati turchi, ma in un’intervista esclusiva ad Al-Monitor il capo delle forze curdo-arabe del Rojava ha negato ogni coinvolgimento. Il Pkk, ha sottolineato Mazlum Kobane, non opera in Rojava e non ha lanciato alcuna operazione dai territori del nord-est della Siria, per cui la risposta turca è ingiustificata. Per Ankara, però, è fondamentale evitare l’espansione dell’Amministrazione autonoma del nord-est della Siria, percepita come una minaccia esistenziale allo Stato turco. Per questo motivo sul tavolo delle trattative tra Turchia e Stati Uniti ci sarebbe anche la fine della cooperazione tra americani e curdi. Le due parti collaborano per contrastare il terrorismo e debellare le ultime cellule dell’Isis ancora attive in territorio siriano, ma secondo Kobane la mancata condanna degli attacchi turchi contro il Rojava non lascia ben sperare. Il rischio è che gli Usa abbandonino ancora una volta i curdi per ottenere in cambio l’adesione della Svezia alla Nato, accontentando così l’ennesima richiesta della Turchia.

Gli effetti nella lotta all’Isis – Tutto ciò avrebbe delle conseguenze ulteriormente negative sulle capacità dei curdi di operare contro l’Isis e di mantenere la sicurezza delle carceri e dei campi in cui sono presenti i combattenti dello Stato islamico e le loro famiglie. Già in passato gli attacchi della Turchia e delle milizie filo-turche presenti in Siria hanno messo in difficoltà le forze militari curdo-arabe, causando anche la fuga di alcuni miliziani dell’Isis. Un ulteriore rafforzamento delle capacità aeree della Turchia e la rottura della partnership con gli Usa avrebbero delle conseguenze negative non solo per i curdi, ma anche per la sicurezza regionale. Dopo la visita di Blinken, resta da vedere cosa deciderà il Congresso americano.