Diritti

Viaggio in Italia per capire le radici della violenza contro le donne. Partendo dal femminicidio di Isabella Morra nel ‘500

Giulia Cecchettin, come Isabella Morra. La prima uccisa con una ventina di coltellate dal suo ex ragazzo. Nel 2023, proprio due settimane prima della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che cade oggi come un macigno. La seconda assassinata dai suoi stessi fratelli, nel Cinquecento. In mezzo secoli di cultura patriarcale durante i quali è stato tollerato di tutto. Violenze e sopraffazioni quotidiane, in ogni parte del mondo. Basti pensare che in Italia solo nel 1981 è stato abolito il matrimonio riparatore: prevedeva che lo stupro potesse essere ‘riparato’ qualora lo stupratore acconsentisse a sposare la sua vittima. Pochi anni prima, nel 1978, erano stati chiusi i manicomi, dove non era raro che finissero donne depresse o delle quali i mariti spesso volevano sbarazzarsi. Tempi non poi così lontani, meno di cinquant’anni fa. Ancora oggi, in giro per il mondo ci sono bambine ‘costrette al matrimonio’. Nel linguaggio comune si dice così, ma in realtà “significa che vengono stuprate”. Lo racconta Michela Bilotta nel suo romanzo “La metrica dell’oltraggio” (Jack Edizioni), un viaggio tra passato e presente, che parte proprio da un femminicidio. Anzi due. Quello, inventato dall’autrice, della venticinquenne romana Viola Scarpetta, uccisa con ventisette coltellate dal suo convivente. Dopo quell’omicidio a Beatrice de Sanctis, la giornalista protagonista del romanzo, è stato affidato l’incarico di scrivere un articolo sulla storia di Isabella Morra, poetessa del Cinquecento assassinata dai fratelli a causa di una presunta relazione con un nobile di un paese vicino. Ma questa è una storia vera, avvenuta in Basilicata, in un borgo che oggi si chiama Valsinni.

La poetessa assassinata dai fratelli – “Qualche estate fa ero in vacanza in Basilicata, mi sono trovata in questo borgo e ho visitato il Parco letterario dedicato a Isabella Morra. Da allora non ho più smesso di pensare alla storia di questa poetessa” racconta Michela Bilotta a ilfattoquotidiano.it. Anche perché la vicenda di Isabella Morra, nonostante siano passati secoli, ha un fil rouge che la collega a quanto accade oggi. “Il femminicidio è il tassello finale di un percorso che parte da lontano, il tragico epilogo di una lunga catena di discriminazioni, stereotipi, omissioni, ignoranza” spiega l’autrice. La protagonista intraprende un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia, tra i luoghi che Michela Bilotta chiama minori, ossia i piccoli borghi sconosciuti e lontani dal turismo di massa. Da Recanati a Lanciano, da Termoli a Matera, fino ai luoghi di Isabella Morra. Quanto ha vissuto è racchiuso nelle sue poesie ed è così profondo da aver spinto Beatrice de Sanctis (e l’autrice del libro) a voler raccontare questa storia e il contesto nel quale è avvenuta. Beatrice raccoglierà dati, informazioni ma, soprattutto le storie passate e recenti che fanno capire quali siano le radici della violenza contro le donne e della tolleranza verso questo fenomeno. Che inizia proprio dal linguaggio e da frasi tuttora nel gergo comune.

L’importanza del linguaggio. E della prevenzione – “Il femminicidio è figlio di quella cultura fatta di ‘dai una mano a mamma nelle faccende domestiche’, ‘tu sei mia’, ‘avete voluto la parità’, ‘mio marito in casa mi aiuta’, ‘non piangere come una femminuccia’, ‘chi dice donna, dice danno’” spiega l’autrice, secondo cui è tutto parte di una cultura che trasmette, fin da bambini “una visione della donna come persona che ‘vale meno’ dell’uomo”. “E se io uomo valgo di più – aggiunge – non accetto un ‘no’ come risposta, non accetto che la tua decisione sia diversa dalla mia”. D’altronde in Italia, ricorda, solo nel 1975 il diritto di famiglia ha messo sullo stesso piano i coniugi. Riflessioni che la protagonista applica anche quando pensa al suo capo, Roberta Bersaglia, sul cui carattere i commenti non si sprecano. Beatrice non può fare a meno di pensare che se fosse stata un uomo tutti avrebbero giudicato la Bersaglia un leader “ma, in quanto donna, la definizione più gettonata è quella di stronza”. Il linguaggio è parte di un problema più profondo, ma può essere anche parte di un cammino diverso, quello della prevenzione. “In Italia siamo abituati ad agire in un’ottica emergenziale che lascia poco spazio alla prevenzione. E questa parola – osserva Michela Bilotta – ha sicuramente meno appeal rispetto ad espressioni che invocano punizioni esemplari. Tuttavia è da lì che dobbiamo partire se vogliamo davvero che le cose cambino, perché la repressione da sola non basta”. E non basta neppure una sola strategia. Secondo l’autrice del libro bisogna agire su più fronti. “Maggiore tutela per le donne che sporgono denuncia – spiega – percorsi scolastici strutturati per insegnare l’educazione all’affettività e alle relazioni, l’empatia, il rispetto dell’altro, la destrutturazione degli stereotipi di genere. Ma anche a gestire emozioni come rabbia e aggressività”.