Il Tribunale ha disposto la confisca dei profitti (per complessivi 4.876.132,00 euro), eseguibile anche su beni di valore equivalente, nei confronti degli imputati condannati. La condanna potrebbe consentire di recuperare parte degli enormi guadagni evasi. Si tratta di un risultato rilevante perché, per la prima volta, si è ottenuta una condanna di confisca in primo grado. L’importanza della decisone è confermata dall’intervento, nel processo, dell’Agenzia delle Entrate, che si è costituita parte civile.

Con il meccanismo “apri e chiudi” le aziende erano riuscite a evitare il pagamento delle imposte (Irpef, Iva e sanzioni) per un valore complessivo superiore ai 14mila euro. Le aziende, infatti come accertato dal Nucleo di polizia economico finanziaria di Firenze, aprivano e chiudevano sistematicamente nel corso del tempo, così da proseguire l’attività imprenditoriale, cambiando denominazione e intestatario, reimpiegando i ricavi delle attività svolte e svuotando le casse delle imprese morenti, trasferendo i lavoratori e mantenendo i rapporti con i fornitori e i clienti originari.

Gli imprenditori, oltre che per il delitto associativo, sono stati quindi condannati anche per aver commesso reati tributari (fra i quali, appunto, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, con evasioni d’imposta significativi) e di bancarotta fraudolenta, la cui responsabilità dovrà essere ulteriormente verificata nei successivi gradi di giudizio. Si tratta infatti di una sentenza di primo grado, quindi non definitiva, ma che ha già condannato tutti i diciassette imputati a pene significative.