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Non solo Gaza, in Cisgiordania l’altra guerra “invisibile” d’Israele. Record di morti palestinesi dal 7 ottobre: sono 163, più di 5 al giorno

La nuova guerra d’Israele a Gaza, in risposta all’attacco di Hamas nel sud del Paese, continua a generare distruzione e a far crescere il numero delle vittime che ha ormai superato le 11mila in poco più di un mese. Ma la dura reazione di Tel Aviv all’azione sanguinosa del partito armato palestinese ha riacutizzato un conflitto meno raccontato nell’ultimo mese, che va oltre i confini della piccola enclave incastonata tra Israele ed Egitto. Se a nord le Forze di Difesa Israeliane si scontrano con le milizie islamiste del Libano, guardando a est sono esplose le violenze in Cisgiordania nei confronti della popolazione palestinese. Tra attacchi e rappresaglie dei coloni illegali nei Territori Occupati e le “operazioni antiterrorismo” delle Idf, in un mese di guerra i morti palestinesi sono schizzati, con una media di circa 5,5 vittime al giorno.

Con l’ascesa del governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu si era già assistito a un incremento delle violenze e delle uccisioni in Cisgiordania. La presenza di ministri estremisti come Bezalel Smotrich o Itamar Ben-Gvir, ma anche dello stesso Netanyahu, aveva in qualche modo ulteriormente stimolato l’aggressività dei coloni nei confronti dei palestinesi. Questa, insieme all’intensificarsi delle “operazioni antiterrorismo” delle Idf in West Bank, è dietro ai numeri record registrati nel 2023. Ad aprile, la media parlava di un palestinese ucciso ogni giorno, numeri che segnavano un record dal 2014, anno dell’operazione Margine di Protezione nella Striscia di Gaza. Con l’esplosione del nuovo conflitto, anche in West Bank si è assistito a un aumento esponenziale della repressione e delle violenze. Così, come dicono i dati diffusi dal ministero della Salute di Ramallah, in appena un mese, dal 7 ottobre al 7 novembre, le vittime palestinesi in Cisgiordania sono state 163, circa 5,5 al giorno.

I motivi di questo nuovo picco di uccisioni sono diversi. Certamente l’attacco di Hamas ha dato maggiore libertà d’azione all’esercito israeliano che, così, ha incrementato il numero delle “operazioni antiterrorismo” volte a colpire le cellule del partito armato palestinese. Il risultato è stato un aumento degli arresti e delle morti, molte tra i civili. A queste si aggiungono le uccisioni e i ferimenti per mano dei coloni, circa 700mila in tutti i Territori occupati. Dal 7 ottobre, le richieste di porto d’armi in Israele hanno superato le 236mila, di cui almeno 1.700 già concesse: un numero pari al totale raggiunto nel totale degli ultimi 20 anni. D’altra parte, è stato lo stesso ministro per la Sicurezza Nazionale Ben-Gvir ad aver ordinato l’acquisto di altre 10mila armi da fuoco da consegnare ai civili israeliani. Una situazione, quella negli insediamenti illegali nei Territori occupati, che ha trovato posto anche nelle dichiarazioni dei leader mondiali, compreso Joe Biden e gli esponenti della sua amministrazione, che hanno più volte denunciato le violenze dei coloni ordinando a Israele di prendere provvedimenti per fermarle. Richieste, ad oggi, rimaste inascoltate.

Oltre alla popolazione, i primi a pagare le conseguenze di questa ondata di violenze sono gli ospedali e le organizzazioni umanitarie impegnate nell’assistenza sanitaria ai civili. Il team di Medici Senza Frontiere in azione a Jenin, ad esempio, parla di “un drammatico aumento della violenza da parte delle forze israeliane. Dal 7 ottobre scorso sono stati curati oltre 30 pazienti con ferite da arma da fuoco e da esplosione”, spiegavano il 9 novembre. Proprio in quella giornata, i medici hanno assistito ai “mezzi militari israeliani che bloccavano l’accesso delle ambulanze agli ospedali, costringendole a indirizzare i pazienti verso strutture sanitarie più lontane”. Intanto, il numero dei morti in Cisgiordania continua a salire.

Twitter: @GianniRosini