Economia & Lobby

Rapporto Caritas: “La povertà cresce anche tra gli occupati, il 23% degli assistiti. In Italia, più che altrove, chi nasce povero resta povero”

La povertà è tra noi ed è qui per restarci. Non più un fenomeno “residuale”, dice l’ultimo rapporto Caritas, ma qualcosa di strutturale che dilaga ed interessa ormai un italiano ogni dieci, ossia 5,6 milioni di persone, il triplo rispetto a solo 15 anni fa. Tante sono le persone che versano in una condizioni che tecnicamente si definisce di povertà assoluta, ovvero che non sono in grado di sostenere le spese necessarie per una vita dignitosa. Non è più qualcosa che interessa solo disoccupati o categorie marginali ma che, sempre di più, coinvolge e minaccia soggetti che hanno un lavoro ma che ricevono uno stipendio talmente misero da restare intrappolati in una severa indigenza. I contratti collettivi non si rinnovano, i prezzi corrono e colpiscono con particolare ferocia i redditi più bassi.

Il governo Meloni ha smantellato il Reddito di cittadinanza che finché in vigore aveva salvato dalla povertà un milione di persone. E l’esecutivo ha affossato anche il salario minimo, quando si scopre a rivolgersi alla Caritas ci sono sempre più occupati, ormai quasi il 23% degli assistiti. Questi sono i risultati. Nell’ultimo anno i soggetti in povertà assoluta sono cresciuti di 357 mila unità. I nuclei familiari che versano in tale condizione sono 2 milioni e 187 mila (+ 165 mila). I poveri vivono soprattutto al Sud dove l’incidenza tocca il 13,3% (contro l’8,3% del Nord Ovest, l’8,8% del Nord Est, il 7,5% del Centro e l’11,3 % delle Isole) e nei piccoli centri urbani più che nella grandi metropoli. L’indigenza colpisce principalmente gli stranieri con un nucleo familiare ogni tre che ricade in questa condizione, a fronte di un’incidenza del 6,4%, ma anch’essa in crescita, tra le famiglie italiane. Gli stranieri, si legge nel rapporto, sono l’8,7% della popolazione ma il 30% dei poveri assoluti.

Tra le cifre più preoccupanti contenute nel rapporto c’è anche quella degli 1,2 milioni di minori che vivono in povertà, il 13,4% dei bimbi italiani. Significa rinunciare a opportunità di crescita e percorsi di sviluppo, mettere seriamente a rischio insomma la possibilità di emanciparsi dall’indigenza che, sappiamo, tende a trasmettersi di padre in figlio. Non certo per ragioni genetiche ma per l’impossibilità di intraprendere carriere scolastici e formative con il supporto e gli strumenti concessi a chi fa parte di famiglie più benestanti. Soprattutto in Italia che si distingue come il paese europeo in cui la trasmissione inter generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più marcata. E il titolo di studio è sempre di più una ciambella di salvataggio: nei nuclei in cui il capo famiglia ha solo la licenza elementare l’incidenza della povertà è salita al 13% mentre rimane al 4% in caso di diplomi superiori.

Il lavoro, come si accennava, non basta più. Nella metà delle famiglie povere il capofamiglia è infatti occupato. Caritas segnala poi come, nell’ultimo anno, il disagio economico sia cresciuto tra le persone sole, tra i divorziati, i celibi e i nubili mentre è diminuito tra le persone coniugate. All’interno del complessivo fenomeno povertà si è aggiunta, nell’ultimo periodo, una nuova sottospecie di disagio: la povertà energetica. Con bollette di luce e gas sensibilmente aumentate a causa della corsa delle quotazioni di petrolio e gas favorita anche dalla guerra in Ucraina aumentano ad esempio le famiglie che non sono in grado di riscaldare in modo adeguato l’abitazione. In Italia sono il 9,9% del totale con un picco del 16% nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 il 19,1% degli assistiti Caritas ha ricevuto un sussidio economico. Degli oltre 86mila sussidi economici erogati il 45% è stato a supporto di “bisogni energetici”.

Per capire quanto questo dramma rischi di estendersi è utile osservare pure il dato sulle persone che risultano a rischio di povertà ed esclusione sociale. In Italia sono oltre 14 milioni di persone, il 24,4% della popolazione, al di sopra della media europea (21,8%) e di Germania, Francia o Portogallo. In generale tutti questi dati mettono i brividi se proiettate in avanti, a quando inizieranno ad accedere alla pensione lavoratori e lavoratrici che, come avviene per tutti quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, riceveranno un assegno calcolato solo in base al metodo contributivo. Con stipendi bassi e carriere discontinue la pensione sarà ben al di sotto della metà dell’ultima busta paga percepita. Eccola la trappola della disperazione da cui è sempre più difficile sfuggire, minori poveri che trovano lavori poco retribuiti e che finiranno per essere pensionati ancora più poveri.