Società

Indi Gregory e i bambini di Gaza: così tento di dar voce a chi è stato lasciato nell’ombra

Quanto vale la vita di un bambino? E quanto quella di 4.008* bambini?

Possiamo forse misurare il battito di un cuore piccolo e coraggioso, confrontarlo con un altro e pesare il loro valore sulla bilancia dell’attenzione del mondo? Possiamo scegliere chi merita le lacrime della terra e chi svanisce nel silenzio?

In una notte di stelle velate, due cuori hanno smesso di battere. Due mondi si sono infranti, due speranze si sono spente sotto cieli così lontani eppure sotto lo stesso firmamento.

Indi Gregory, la bambina inglese di otto mesi che aveva una malattia definita incurabile dai medici che la assistono dalla nascita, è morta stanotte. I media italiani ne hanno tessuto il racconto come una tela d’arte, dipingendo ogni tratto della sua lotta con tocchi di speranza e disperazione. Al punto che la premier Meloni ha deciso di darle la cittadinanza italiana, dopo la decisione dei giudici dell’Alta Corte di Londra che aveva negato alla famiglia la possibilità di trasferire la bambina in Italia per ricoverarla all’ospedale Bambin Gesù di Roma e in questo modo tentare di mantenerla in vita. Ma mantenerla per che vita?

Ma stanotte è morto anche Karibu, angelo dimenticato in Palestina, bambino di una terra lacerata dalla guerra, un angolo del mondo dove la vita e la morte danzano in un abbraccio amaro. La cui esistenza, così fragile e breve, è stata inghiottita dal vortice di un conflitto che gli era estraneo. La sua voce non ha mai raggiunto le onde del mare mediatico, la sua risata non è mai diventata eco nel cuore del mondo. Nato prematuro, è morto nell’ospedale Al-Shifa a Gaza, insieme ad altri 5 neonati prematuri morti per assenza di cure, che purtroppo si sommano agli altri 4.000 bimbi e bimbe morte dall’inizio di questa guerra. Le loro risate, i loro giochi, i loro sogni, tutto è stato cancellato in un istante.

Nessun titolo di giornale ha raccontato e racconterà la storia di Karibu, nessuna ondata di solidarietà globale si è levata per lui. Non c’è stato un estremo tentativo internazionale per Karibu, nessun dibattito pubblico sulla sua sopravvivenza, nessuna promessa di cure o di conforto. È diventato un’eco silenziosa, un ricordo sbiadito in un mondo troppo occupato a guardare altrove. La sua vita, preziosa come ogni altra, è stata ridotta a un numero a margine nella narrazione incessante di tragedie dimenticate. È un’ingiustizia che grida al cielo, un’indifferenza che pesa sull’anima.

Karibu, la tua vita non era meno preziosa di quella di Indy, il tuo sorriso non meno luminoso, la tua perdita non meno devastante. Eppure, il mondo ha scelto di non vederti, di non ascoltare il tuo silenzio. La tua morte, nel caos di una terra lontana, è stata un sussurro tra le tempeste di altre notizie, ignorata e dimenticata.

Il mio è un goffo tentativo di bilanciare le storie, di dare voce a chi è stato lasciato nell’ombra. E’ la confessione della nostra fallibilità collettiva nel riconoscere e rispondere con equità al dolore umano. Karibu, tu meritavi di essere ricordato, celebrato e pianto, proprio come Indy. Soprattutto perché avevi la certezza di vivere una vita di giochi e di speranze che per qualcuno era meno importante di quella di Indy che, invece, aveva una vita già segnata dal dolore e senza speranze che i giudici inglesi hanno scelto di non prolungare inutilmente.

Non esprimo un giudizio, ma un invito a superare i pregiudizi e le limitazioni che ci imprigionano, riconoscendo l’infinito valore di ogni vita umana in ogni angolo del mondo. Le storie di queste persone ci insegnano che la compassione e l’impegno personale non conoscono confini e che ogni bambino ha il diritto di essere visto, ascoltato e amato – non per la sua nazionalità o il suo passato, ma per la sua essenza di essere umano.

La frustrazione cresce nel vedere come figure come Giorgia Meloni si siano mobilitate per casi come quello di Indy, mentre altre storie, come quella di Karibu, restino nell’ombra. Auspico un futuro in cui ogni perdita venga percepita con empatia collettiva, senza distinzioni di passaporto, cultura o origine. Per questo è un primo passo positivo la dichiarazione del vicepremier Tajani sul fatto che l’Italia sarà disponibile a curare in Italia i bambini palestinesi feriti. Ma certamente non basta. Serve il cessate il fuoco immediato, per evitare di uccidere altri civili incolpevoli, bambini e non.

*I dati sulle vittime infantili dichiarati provengono dall’OCHA, che cita rispettivamente i ministeri della Sanità di Gaza, Cisgiordania e Israele. A causa della situazione attuale, le informazioni e i numeri forniti da queste autorità non possono essere verificati in modo indipendente.