Cronaca

Roma bloccata dai cantieri. L’urbanista: “Si aprono quando arrivano i fondi, ma manca una visione. E sul clima si fa greenwashing”

Una Capitale bloccata nel traffico, o preda dei rifiuti lasciati lungo le strade. Questa è la percezione che di Roma hanno i suoi abitanti, ma come la vedono gli urbanisti? Un gruppo di ricercatori in varie discipline quattro anni fa hanno lanciato il progetto comune di città più sostenibile, vivibile, e resistente ai cambiamenti climatici. “Roma ricerca Roma” ha invitato oggi al Teatro Palladium è prevista un’assemblea del progetto, con comitati e associazioni di cittadini. Tra gli animatori c’è Alessandra Valentinelli, esperta di dissesto, tutela del paesaggio rurale e adattamento urbano ai cambiamenti climatici. “Le trasformazioni urbanistiche e ambientali che Roma sta affrontando sono preoccupanti”, dice al Fatto.

Perché lei e i suoi colleghi siete preoccupati per Roma?

Partirei dall’emergenza climatica. Le temperature aumentano anche a Roma e questo ha un impatto sanitario importante, con un chiaro risvolto di giustizia sociale visto che le aree che risentono maggiormente delle ondate di calore sono quelle più fragili come il quadrante est. Gli interventi in questo settore sono incongrui e inadeguati. Manca una visione generale della città. Le aree verdi sono ancora considerate come “aree vuote” da riempire. E questo dice già molto sugli interessi che guidano le scelte urbanistiche.

Ossia che questi progetti vanno tutti a beneficio dei privati?

Se prendiamo il progetto dello Stadio di Pietralata è abbastanza chiaro quali sono le esternalità e chi le pagherà e, dall’altra parte, quali saranno i benefici e chi li raccoglierà. Lo stesso si può dire del polo logistico nell’area della Ex Snia (al Prenestino), una delle più trafficate di Roma. Al di là della qualità scarna dei progetti non si capisce in che modo si giustifichino.

Ha fatto molto discutere il progetto del cantiere della metro C di Piazza Venezia con la conseguente chiusura al traffico di gran parte della piazza. In città ci sono più di cento cantieri aperti, come le sembra questa strategia?

Quello che osservo è che i progetti vengono attivati perché arrivano i finanziamenti. Insomma, i cantieri vengono aperti perché vengono sbloccati i fondi, oppure perché scadono i termini per spenderli. Ora, molte associazioni hanno posto questo problema all’amministrazione: stanno arrivando tanti soldi, a beneficio di chi andranno, per quale obiettivo? C’è un pulviscolo di iniziative puntuali senza un progetto che le leghi. Vale per l’ambiente come per la mobilità. Parlando di Piazza Venezia: cosa si è fatto per spostare le abitudini di mobilità dei romani che attraversano il centro storico dall’auto privata al mezzo pubblico?

Cosa si doveva fare per dare una cornice strutturata agli interventi in città?

Proprio in questi giorni il Comune sta rivedendo le norme tecniche di attuazione del piano regolatore, vecchio di 15 anni ormai. Non è un tecnicismo, dentro questa revisione c’è lo sviluppo cittadino dei prossimi anni. Noi abbiamo chiesto di fissare alcuni punti fermi. Innanzitutto che prima di modificare le regole di trasformazione della città si faccia una valutazione di come siamo arrivati al punto in cui siamo. Una quota rilevante dell’attività amministrativa dovrebbe essere gestire, non costruire. Bisogna lavorare a un quadro di regole. L’amministrazione non si può rianimare solo quando arrivano flussi di denaro.

Secondo lei cosa è successo a Roma negli ultimi anni? È rimasta uguale a prima, si è evoluta?

Le città cambiano continuamente, anche se l’amministrazione non fa nulla. Il problema qui non è che non si fa niente, abbiamo appena parlato dei cantieri aperti, ma semmai che le opere che si fanno non beneficiano alla collettività. Non ci sono vincoli o certezze sulle tutele del patrimonio collettivo. I dati sul consumo di suolo appena pubblicati dall’Ispra mostrano che Roma continua a essere tra le città con i tassi più alti. È un indicatore che si porta dietro tutto il resto, dal punto di vista della perdita di sostenibilità e di servizi ecosistemici. Sulla mobilità, i dati dicono che i romani usano sempre meno il trasporto pubblico: è allarmante. Esistono problemi di sicurezza gravi per i pedoni e i ciclisti.

Secondo lei questa amministrazione sta offrendo percorsi partecipativi ai cittadini?

Roma è una città con un livello di produzione culturale altissimo, c’è un’intelligenza diffusa di cui godono poche altre città. Mi stupisce però che questa intelligenza diffusa non sia raccolta dall’amministrazione. Il dibattito pubblico aperto sullo stadio di Pietralata è un esempio imbarazzante: i comitati hanno partecipato a riunioni con i tecnici di AS Roma e il Comune e la sensazione è che ne sapessero più di loro. I cittadini hanno presentato studi e progetti alternativi. L’amministrazione ha raccolto le critiche, ma poi ha detto chiaramente che a decidere sarà il Consiglio capitolino. Come si fa a chiamarla partecipazione? C’è uno scollamento tra amministrazione e intelligenze diffuse nella città, con ripercussioni evidenti sulla qualità della proposta. Le intelligenze diffuse sono estremamente innovative, mentre l’amministrazione ha modelli molto tradizionali. Eppure alla giunta mancano ancora 3 anni di governo, il tempo per correggere il tiro ci sarebbe.

Che modello sta adottando l’amministrazione?

Direi che siamo in una fase di greenwashing. Tutto questo parlare di rigenerazione non va nella direzione di adattamento della città ai rischi climatici. Se ne parla solo in termini di opere. Inviterei il sindaco Gualtieri a prendere il tram, a farsi una passeggiata per i quartieri, a prendere consapevolezza dello stato della città e dei cittadini.

In termini di progetti sostenibili, a cosa bisognerebbe dare priorità?

Moltiplicare i corridoi verdi che interrompono le aree urbanizzate, sul modello dell’Appia antica. Difendere l’agro romano, intervenire sulla sicurezza stradale con limiti di velocità più stringenti per tutelare pedoni e ciclisti. Pedonalizzare. L’amministrazione ha a disposizione uno spazio pubblico enorme su cui intervenire, regolandolo. Invece il massimo che si è fatto è stato lasciarlo in gestione ai ristoratori (per i dehors, ndr). Siamo al piccolo cabotaggio.

Ha fatto discutere il taglio ai servizi di sharing, subito dopo l’insediamento di Gualtieri. Cosa ne pensa?

Si è deciso di limitarne la disponibilità perché non sono sicuri. Allora io dico che invece di ridurli bisognerebbe lavorare per garantire la sicurezza degli utenti. La domanda di questi mezzi è altissima, Roma è una capitale dove affluiscono milioni di persone, e sarebbe alta anche nelle periferie.