Politica

I crimini di Israele pesano sulle nostre coscienze: vado in piazza con chi chiede il cessate il fuoco

Nessun torto subito può giustificare la barbarie a cui stiamo assistendo. Non ci possono essere mezze misure nel condannare la violenza e i crimini contro l’umanità commessi in Israele e Palestina in questi giorni. Per questo trovo insopportabile che chi ha giustamente condannato l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre oggi non trovi le parole giuste per condannare la barbarie della risposta del governo israeliano sulla popolazione civile di Gaza.

Bisogna chiamare le cose col proprio nome: bombardare indiscriminatamente la popolazione civile, costringerla ad un assedio di tipo medievale interrompendo le forniture di acqua, cibo, medicinali ed elettricità, radere al suolo case, scuole, ospedali, nel nome di una punizione collettiva è dal punto di vista del diritto internazionale un genocidio. Ed è proprio perché riconosco l’inestricabile rapporto culturale, politico e storico tra Israele e le democrazie liberali che penso che non possiamo restare in silenzio davanti a quello che sta accadendo. Qualcuno dice che Israele è un pezzo dell’Occidente in Medioriente ed è proprio per questo che i crimini di Israele pesano sulle nostre coscienze più di quanto non lo facciano quelli di regimi come quello di Assad, quello iraniano, quello turco o egiziano.

È per questo che penso che penso che anche per difendere il suo popolo, la sua storia, la sua cultura oggi abbiamo il dovere morale di far sentire la nostra voce di condanna nei confronti del massacro che il suo governo sta consumando a Gaza. In che modo un crimine così odioso garantirà la sicurezza di Israele? In che modo sterminare migliaia di civili inermi renderà giustizia alle vittime del terrorismo di Hamas? In che modo seminare tutto quest’odio impedirà che domani si possa trovare una soluzione di convivenza pacifica con i Palestinesi? Che cosa ha a che fare il diritto all’autodifesa con la mattanza in corso a Gaza?

Mi dispiace non si può sottostare al ricatto morale di chi iscrive ogni voce di dissenso nei confronti di quello che sta facendo il governo israeliano ad un giustificazionismo della barbarie di Hamas. Un ricatto morale esercitato ormai non solo dal governo israeliano e da alcuni esponenti delle comunità ebraiche (fortunatamente non moltissimi) ma anche dal sistema mediatico e da quello politico che dimostrano in questo preciso momento tutta la loro debolezza.

Mi ha colpito la violenza con cui è stato aggredito il Segretario Generale delle Nazioni Unite per delle affermazioni di assoluto buonsenso in cui condannava Hamas, garantiva il sostegno dell’Onu alla sfida comune contro il terrorismo, ma faceva riferimento anche al contesto storico politico ed alle cause di un conflitto irrisolto che sono alla base della condizione di instabilità e della proliferazione di sentimenti di odio e violenza su cui si fonda la forza di organizzazioni fondamentaliste e terroristiche. Mi ha colpito il silenzio assordante dei leader occidentali che lo hanno lasciato solo, mi ha colpito l’imbarazzante titolo di Repubblica del giorno dopo che virgolettava come fossero parole sue “anche Hamas ha le sue ragioni” facendo spregio di qualsiasi idea del giornalismo.

È da troppo tempo che chi cerca di affermare l’idea che la Pace si costruisce con la politica, con la diplomazia, col negoziato viene additato di stare dalla parte dei nemici della democrazia.

È una insopportabile ipocrisia quella di chi si appella alla democrazia per giustificare la guerra mentre va a braccetto con i peggiori dittatori che la storia del nostro secolo ha conosciuto, trovo immorale che mentre si stermina la popolazione civile di Gaza nessuno trovi una parola da spendere per la geopolitica criminale di un governo come quello del Qatar che finanzia e sostiene Hamas ospitandone la leadership e senza il cui benestare sono sicuro non si sarebbero potuti verificare i fatti del 7 ottobre. Ma si sa che il Qatar detiene buona parte degli asset finanziari dei paesi Europei e nel nostro caso addirittura una importante fornitura di gas (“necessaria per affrancarsi dalla dipendenza da dittatori come Putin!” cit.) e quindi meglio non tirarlo in causa. Una politica dei doppi standard che indebolisce le democrazia liberali e ne mina la credibilità e la forza sul piano internazionale.

Abbiamo bisogno di riprendere in mano la bussola del diritto e della giustizia internazionale, rimettere al centro una politica estera che si fondi sul rispetto dei diritti umani e sulla difesa dei valori di libertà e democrazia, che abbia come obiettivo quello della convivenza pacifica tra i popoli e non quello della sopraffazione e della sottomissione.

L’Europa non può limitarsi a fare appello alla moderazione, deve farsi carico di una proposta di pace che rimetta al centro i diritti dei popoli: quello degli Israeliani come quello dei Palestinesi a vivere in sicurezza e di quello negato al popolo palestinese ad avere uno stato e non vivere più sotto occupazione militare.
Un’Europa che ritrovi se stessa e che abbia il coraggio di chiedere senza ambiguità un immediato cessate il fuoco e non una pausa del massacro in atto per fare entrare un po’ di aiuti umanitari.

Per questo rivendico il dovere di prendere parola, di denunciare, di protestare perché domani non si possa dire che mentre tutto questo accadeva noi ci voltavamo dall’altra parte.

Ecco perché sarò in piazza oggi, venerdì, con le organizzazioni della società civile che chiedono un immediato cessate il fuoco, l’assistenza umanitaria per la popolazione di Gaza e l’apertura di un negoziato di Pace. Le parole d’ordine giuste che purtroppo la politica non trova più immersa nel tentativo disperato di non assumere posizioni scomode ma giuste. Quelle di cui avremmo bisogno.