Cronaca

Nel carcere Pagliarelli di Palermo inaugurata la prima stanza della meditazione: “È il primo passo per approccio innovativo nell’ambito della giustizia”

Ci vuole molta creatività nell’immaginare dentro un carcere – luogo per antonomasia sinonimo di spazi angusti, superaffollati e di sofferenze di vario tipo – una “stanza della meditazione”. Portare in cella il valore del silenzio, dell’introspezione, della liberazione della mente dai pensieri come rabbia e rancore. Utopia? Scherzo? Non per l’organizzazione di volontariato My Life Design, fondata da Daniel Lumera, biologo naturalista, esperto di scienze del benessere. Perché una vera stanza per meditare è stata inaugurata nella Casa Circondariale Pagliarelli “Antonio Lorusso” di Palermo. Dal 25 ottobre scorso, polizia penitenziaria, personale civile e detenuti possono meditare insieme in uno spazio specificatamente dedicato alla cura del sé, del proprio ambiente interiore, dalla sfera emozionale alle proprie relazioni.

L’associazione My Life Design ODV, tra le varie attività statutarie, porta progetti di giustizia consapevole nelle carceri del nostro Paese fin dal 2017. Insieme a Lumera, hanno partecipato all’inaugurazione la Direttrice dell’Istituto Maria Luisa Malato, le funzionarie giuridico-pedagogiche Rosalba Petruso e Simona Patelmo, la capo area trattamentale Rosaria Puleo, la responsabile dell’area Giustizia della My Life Design ODV Cristina Franchini, la referente regionale dell’associazione Francesca Macaddino e alcune delle detenute che parteciperanno all’intero percorso intensivo, per apprendere e poi trasmettere a loro volta pratiche e tecniche che mettono insieme antichi saperi e moderni riscontri scientifici.

Fine di un tabù

Non è la prima volta che la meditazione entra in un carcere. Da alcuni anni viene esercitata in diverse strutture in Italia, ma la Casa Circondariale Pagliarelli è la prima ad aver dato vita a una vera e propria stanza dedicata, con tanto di cartello accanto alla porta che la riconosce come tale. La “Stanza della Meditazione” è un progetto che nasce dall’impegno dell’area Giustizia dell’associazione My Life Design ODV nel portare percorsi di educazione alla consapevolezza, alla responsabilità e alla libertà interiore rivolti alle persone detenute in vista del reintegro in società. Finora, nella sua attività l’associazione ha incontrato, solo in Italia, oltre un migliaio di persone recluse, in una quindicina di istituti penali.

Un’occasione di trasformazione

L’esperienza della “Stanza della Meditazione” è un luogo dedicato nel quale sia le persone recluse sia il personale civile e di polizia penitenziaria possano concedersi uno spazio di silenzio. Inoltre, in questo luogo le persone detenute, che hanno scelto di intraprendere un percorso finalizzato alla pratica della meditazione, con il tempo avranno la possibilità di trasmettere questa pratica di benessere ai propri compagni. “Per me questo è stato un giorno speciale, nel quale ho realizzato un grande desiderio”, ha dichiarato Rosalba Petruso: “portare nel luogo di lavoro, fatto di grande sofferenza, una prospettiva nuova, un modo diverso di vivere la condizione detentiva, restituendo il suo significato più profondo di opportunità trasformativa ed evolutiva della persona. È una grande opportunità, di questo sono profondamente grata a Daniel Lumera, Cristina Franchini, Francesca Macaddino e tutta la My Life Design ODV”.

La “terapia” del perdono

“Si tratta di un primo passo importante verso la diffusione di un approccio innovativo nell’ambito della giustizia”, ha commentato Lumera, “a beneficio di tutti coloro che abitano a vario titolo il carcere e della comunità intera. Il nostro intento è dimostrare, dati alla mano, l’efficacia di istituire spazi come la Stanza della Meditazione e percorsi di educazione a consapevolezza, responsabilità e libertà. Per questo collaboriamo con università e realtà che possano rilevarne scientificamente gli effetti”. Nei prossimi giorni, a supporto dell’avvio della “Stanza”, Lumera condurrà dialoghi quotidiani con i detenuti, il personale civile e di polizia penitenziaria della casa circondariale di Palermo. Questi incontri sono chiamati i “Dialoghi del Perdono”. L’obiettivo? Esplorare il valore del perdono come processo che migliora la qualità della vita sotto l’aspetto personale, relazionale e sociale. E che può essere applicato in ogni ambito. Il perdono, inteso proprio “per-dono”, spiega Lumera, appartiene alle abilità e virtù basilari di un nuovo modo di essere umani, è un allenamento neuronale del cervello che sviluppa capacità fondamentali nella sfera personale, relazionale e sociale, come trasformare i problemi in risorse, gestire i conflitti, sviluppare l’empatia matura e la cultura integrata della pace.

Per chi pensa si stia parlando di concetti astratti, vale la pena ricordare che le più recenti ricerche scientifiche nell’ambito delle neuroscienze hanno rivelato le ricadute positive del perdono sul sistema circolatorio, immunitario e nervoso, consacrandolo come strumento fondamentale per la salute e la qualità della vita, oltre ai soli ambiti psicologico e spirituale; da qui è derivata una vera e propria “scienza del perdono” che sta avendo un impatto sociale ed educativo sempre maggiore in vari campi di attuazione.