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Israele, Hamas e il divieto di applicare la legge del taglione (centuplicata)

Negli anni ’70 negli Stati Uniti si pensò che fosse opportuno far partecipare la vittima (o i suoi parenti) del processo penale al verdetto con i Victim Impact Statements. Se tale partecipazione non veniva considerata immorale di per sé, la critica riguardava il fatto che potesse rappresentare un viatico per la sproporzione e per l’alimentazione di un ulteriore ciclo di violenze (per non dire della possibilità dell’errore).

Il fatto che le vittime degli attacchi di Hamas, o i parenti delle vittime di coloro che dai terroristi sono stati brutalmente assassinati, covino un desiderio di vendetta non è affatto incomprensibile, tutt’altro. È umano, perfino troppo umano, che chi ha subito violenza e sopraffazione pretenda che al reo venga inflitta una sofferenza atta a ripagare quella causata dalle sue azioni. Tuttavia la retribuzione, quando non la restituzione del male con un surplus di male, non può rappresentare uno standard di conseguimento per i poteri pubblici. La ‘controparte’ di Hamas non sono le famiglie delle vittime, ma lo Stato israeliano. Esso soltanto è in grado di ragionare senza soggiacere alle passioni degli uomini, benché fatto da uomini e non automa impersonale.

Gli uomini che guidano lo Stato si spersonalizzano, è il ruolo che glielo impone. Se c’è un’eredità della ragion di Stato è proprio in questo, ovvero in un residuo di freddezza che consenta allo Stato non di essere sordo alle tribolazioni umane per conseguire il male, ma di usare la ragione – che a chi è accecato da un odio umanamente comprensibile è preclusa – per perseguire il bene.

Norberto Bobbio insegnava che una delle ragioni contro la pena di morte era proprio la ‘freddezza’ dello Stato, la capacità di non farsi trascinare nel gorgo della vendetta, in quella lex talionis la cui versione in Medio Oriente è diventata la pretesa di due, dieci, cento occhi per ogni occhio e due, dieci, cento denti per ogni dente. Lo Stato, scriveva Bobbio, “risponde meditatamente, riflessivamente, razionalmente”. Certo Bobbio sosteneva che la ragione della freddezza dello Stato risiedeva anche nel fatto che esso era infinitamente più forte del singolo, e che dunque non poteva mettersi sullo stesso piano con questo.

Si dirà che questo ragionamento è fallace perché esso incorre in quella che viene definita domestic analogy, ovvero un’analogia ‘domestica’ indebita tra i rapporti degli Stati coi propri cittadini (o di questi tra loro) e i rapporti degli Stati tra di loro. Gli Stati tra loro, si sostiene, non sono come dei cittadini di una civitas maxima, ma soggetti sovrani senza un terzo che si costituisca come governo mondiale (dunque come macro-Stato). E se non c’è il terzo, si sostiene, non esiste un soggetto che detenga il monopolio legittimo della forza e dunque possa porsi la questione del suo ‘dosaggio’, dal momento che sarebbe – come invece nello Stato – l’unico a poterla usare.

Nelle relazioni internazionali ogni Stato sta di fronte all’altro in condizione di parità. Un’obiezione che ha fortissime ragioni; qui ci permettiamo di usare l’analogia solo perché la guerra è, di fatto, una pena di morte collettiva comminata ad innocenti in assenza di processo, ma forse ancor di più perché in effetti la sproporzione delle forze in campo in Medio Oriente e il ruolo dominante di Israele anche sui territori sotto l’egida palestinese cambiano le relazioni tra i soggetti.

C’è poi la questione dello ‘Stato’ palestinese: Hamas è immediatamente sovrapponibile a esso? La Palestina è pienamente uno Stato? Israele non è terzo, ma di fatto esercita un potere di controllo del territorio (anche non proprio) e di uso della forza che travalica i propri confini. E Israele è infinitamente più forte di Hamas.

Anche al di là di queste considerazioni, nelle questioni internazionali la proporzionalità e l’uso della violenza non soggiacciono all’arbitrio del più forte. Il criterio di una risposta entro i limiti del diritto internazionale esiste ed è cogente: lo è moralmente, lo è giuridicamente. Dunque così come lo Stato agisce con freddezza nei confronti del reo, esso dovrebbe fare nei confronti di un nemico da cui si è ricevuto un durissimo attacco terroristico. Tanto più Israele.

Perfino la potenza imperiale più vicina a Israele, gli Stati Uniti, ha richiamato Netanyahu a una risposta entro i confini del diritto internazionale. Perché i civili sono tutti uguali, essi non si distinguono per nazionalità.