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Ultimatum di Israele, “evacuare Gaza Nord”: a un milione di persone intimato di andare a sud. Ma lasciare la Striscia è impossibile

L’ordine è stato impartito “con volantini (sotto), messaggi radio e telefonici, e sul web”. Viene dall’esercito israeliano, che ha dato l’ordine alla popolazione del nord della Striscia (circa 41 chilometri in lunghezza e da 6 a 12 chilometri in larghezza) di andarsene perché quell’area diventerà zona di operazioni militari, ovvero dell’offensiva via terra annunciata da Tel Aviv. A 1,1 milioni di persone è stato intimato di spostarsi subito a sud del Wadi Gaza, la riserva naturale che si sviluppa nel mezzo della Striscia, per motivi di sicurezza (nei tweet sotto la linea di confine oltre la quale è diretta la popolazione civile del nord).

I tempi per l’esodo sono fissati in 24 ore, ma in realtà lo spostamento potrebbe prendere più tempo, ha affermato il portavoce militare di Israele Daniel Hagari. Ma il ministero dell’Interno di Hamas a Gaza ha invitato chi abita a nord della Striscia a non muoversi dalle proprie case definendo l’annuncio dell’esercito di Israele “propaganda”. Quello che sta succedendo, di fatto, è che migliaia di persone hanno lasciato in fretta e furia a partire dalla mattina le proprie abitazioni a Gaza City: chi non ha mezzi di spostarsi se ne sta andando a piedi con qualche bagaglio in mano. Una marcia di almeno dieci chilometri, intrapresa da famiglie intere. Ma chi non potrà muoversi sono i pazienti dell’ospedale al-Quds, gestito dalla Mezzaluna Rossa Palestinese a Gaza City, nel nord: loro e i medici resteranno nella zona di pericolo, in assenza di ambulanze e di soluzioni adeguate per il ricovero dei malati più gravi.

A dirigere l’evacuazione è stato l’esercito israeliano e poco prima di mezzanotte, Israele ha consegnato alle Nazioni Unite un ordine ancora più ampio – dando a quasi la metà della piccola popolazione di Gaza 24 ore per fuggire nel sud del territorio. Ma dove potranno fuggire gli abitanti della Striscia, visto che tutti i valichi sono chiusi? L’Egitto ha chiesto di stabilire una zona cuscinetto che interrompa i bombardamenti intorno al valico di Rafah, tra Gaza e – appunto – l’Egitto, che è rimasto l’unico punto di contatto con il mondo esterno per i due milioni di abitanti della Striscia chiusi nell’assedio totale dichiarato dal governo israeliano come risposta immediata agli attacchi del 7 ottobre. La proposta del Cairo viene rivelata nel giorno in cui il ministero degli Esteri egiziano ha voluto smentire quelle che definisce informazioni inesatte riguardo alla chiusura del valico da parte degli egiziani. Il valico è aperto “salvo il fatto che le sue strutture sul lato palestinese sono state danneggiate a causa dei ripetuti bombardamenti israeliani“, si legge in una nota del ministero, nella quale si ricorda che “l’Egitto ha invitato Israele a evitare di colpire il lato palestinese del valico”, in modo che possano continuare “i lavori di riparazione” e che il valico possa servire “per sostenere i fratelli palestinesi nella Striscia di Gaza”. Il valico è stato colpito da raid israeliani martedì pomeriggio, dopo che il governo israeliano aveva dichiarato lo stop di forniture di cibo, carburante ed altri beni a Gaza.

Egitto contrario ai corridoi umanitari per fare uscire i palestinesi da Gaza – Dopo questo bombardamento si erano ricorse diverse notizie della chiusura del valico che ora il governo egiziano smentisce chiedendo anzi a Paesi ed organizzazioni internazionali di inviare aiuti umanitari per Gaza all’aeroporto di El-Arish, che si trova a 56 chilometri dal valico di frontiera. Aiuti che la Giordania ha già inviato, anche se non è ancora chiaro se potranno effettivamente entrare a Gaza. La questione dell’apertura del valico di Rafah è strettamente legata a quella dell’apertura di corridoi umanitari con Gaza, per la quale gli Stati Uniti da alcuni giorni stanno conducendo consultazioni con israeliani e egiziani. La preoccupazione di Washington non è solo quella di poter far arrivare a Gaza aiuti umanitari, a fronte delle dichiarazioni delle Nazioni Unite che definiscono l’assedio totale una punizione collettiva. Ma anche quella di poter garantire una via di fuga ai civili palestinesi, già da giorni sotto i raid di israeliani, soprattutto nel caso dell’attesa operazione di terra israeliana. Ma se l’Egitto è pronto ad usare il valico per i passaggio di cibo ed altri aiuti, si è mostrato invece contrario ad istituire corridoi umanitari per far uscire i palestinesi da Gaza, riferivano nei giorni scorsi alla Cnn fonti Usa informate sulle consultazioni in corso. L’Egitto, che già in passato ha limitato l’ingresso di palestinesi nei suoi territori anche nei momenti di massimo conflitto, sostiene di opporsi all’idea dei corridoi umanitari per i civili per proteggere “il diritto dei palestinesi a difendere la loro causa e la loro terra”, contestando quello che al Jazeera sintetizza nel titolo come “il tentativo di svuotare Gaza”.

Anche la Giordania contraria a nuovi rifugiati da Gaza Re Abdullah di Giordania ha messo in guardia da qualsiasi tentativo di cacciare i palestinesi dalle loro terre, dopo l’ordine di evacuazione dato da Israele, sottolineando che la crisi non deve estendersi ai Paesi vicini esacerbando la questione dei rifugiati. In un colloquio ad Amman con il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, re Abdullah ha anche esortato a non adottare una politica di punizione collettiva contro gli abitanti della Striscia, sottolineando la necessità di proteggere i civili innocenti di entrambe le parti, in linea con i valori umanitari comuni. Secondo l’agenzia di stampa Petra, Abdullah ha evidenziato la necessità di aprire corridoi umanitari urgenti per portare aiuti medici e soccorso nella Striscia di Gaza, rimarcando l’importanza di proteggere i civili e fermare l’escalation. Il re ha anche avvertito dell’importanza di non ostacolare il lavoro delle organizzazioni internazionali nella Striscia di Gaza, mentre l’esercito giordano ha impedito a dimostranti che chiedono al governo di Amman la condanna degli attacchi a Gaza e la loro fine di avvicinarsi alla frontiera con Israele. L’esercito sta ricorrendo all’uso di lacrimogeni per tenere i manifestanti lontani dal confine.