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Il caso dell’indipendentista sikh ucciso in Canada accende una crisi tra Ottawa e Nuova Delhi: doppia espulsione di diplomatici

Stava organizzando un referendum per creare, in India, uno Stato sikh indipendente, ma non ha potuto portare a termine la sua battaglia: Hardeep Singh Nijjar è stato freddato da alcuni colpi d’arma da fuoco in Canada, il 18 giugno 2023, fuori da un centro culturale sikh a Surrey, a una trentina di chilometri a est di Vancouver. Un omicidio, quello di Nijjar, che ha creato un vero e proprio caso diplomatico tra Canada e India. Il governo di Ottawa, infatti, ha accusato Nuova Delhi di essere responsabile dell’omicidio ed è arrivata a espellere dal paese un alto diplomatico indiano. Misura cui l’India ha risposto, poche ore dopo, espellendo a sua volta un alto diplomatico canadese. Per Nuova Delhi, insomma, si tratterebbe di indebita interferenza di funzionari stranieri in questioni interne all’India, mentre Ottawa denuncia quella che potrebbe configurarsi come una violazione della sovranità canadese da parte del governo indiano.

L’IMPEGNO DI NIJJAR E IL MOVIMENTO DEL KHALISTAN – Nijjar, 45enne esponente di spicco della comunità sikh, viveva in Canada dal 1997. Lì si batteva, anche con manifestazioni pubbliche, in favore del Khalistan, uno Stato sikh indipendente da creare nella regione indiana del Punjab, al confine con il Pakistan. In quell’area, infatti, i fedeli sikh rappresentano la maggioranza della popolazione, mentre nel resto del paese costituiscono una minoranza pari a circa il 2% dei cittadini. Nel resto del mondo, poi, i sikh arrivano circa a 25 milioni. Per le sue attività sovversive, l’India considerava Nijjar come “terrorista” già dal 2020. Era pure arrivata a mettere una taglia sopra la sua testa, annunciando una ricompensa in denaro per chiunque avesse fornito informazioni che portassero al suo arresto. Nuova Delhi, infatti, accusava l’uomo di essere coinvolto in un presunto attacco contro un sacerdote indù in India.

E tuttavia, a preoccupare il governo indiano era soprattutto quel referendum ufficioso per cui Nijjar si stava battendo. Una battaglia, questa, cominciata già all’epoca dell’indipendenza indiana, dopo la Seconda guerra mondiale, e proseguita nel corso dei decenni: il caso più eclatante nel 1984, quando agli omicidi di alcuni suoi rappresentanti il governo indiano rispose assaltando il tempio più sacro dei sikh, in un’azione che portò poi due guardie del corpo sikh a uccidere l’allora premier Indira Gandhi. Oggi il movimento indipendentista è vietato nel paese ed è percepito come una minaccia per la sicurezza nazionale. All’inizio del 2023, ad esempio, i separatisti del Khalistan avevano vandalizzato i consolati indiani di Londra e San Francisco. Il movimento gode invece di un certo sostegno nel nord dell’India e in paesi come Canada e Regno Unito che ospitano numerosi membri della comunità. In Canada, dove vivono circa un milione e mezzo di cittadini di origini indiane, la comunità sikh conta quasi 800 mila persone, ossia il 2% della popolazione: cifre che fanno del Canada il paese con la maggiore presenza sikh al di fuori dell’India.

LE ACCUSE DEL CANADA – Questo è lo sfondo che sta dietro all’omicidio di Nijjar, avvenuto il 18 giugno nel parcheggio di un tempio sikh a Surrey ad opera di due uomini incappucciati. Data la posizione del governo indiano circa la comunità sikh e il movimento indipendentista, il premier canadese Justin Trudeau ha ritenuto credibile l’ipotesi di un collegamento tra Nuova Delhi e l’omicidio di Nijjar, ipotesi che sarebbe avvalorata anche da una ricostruzione dell’intelligence. Per di più, lo stesso avvocato di Nijjar ha dichiarato che il leader sikh era stato avvertito dai servizi segreti canadesi del fatto che alcuni mercenari si stessero preparando ad assassinarlo. E ancora, è stata la stessa World Sikh Organization of Canada a ricordare che “più volte Nijjar aveva parlato apertamente delle minacce di morte ricevute e si era detto un bersaglio dell’intelligence indiana”.

Al parlamento canadese Trudeau ha dichiarato di aver parlato del caso con il primo ministro indiano Narendra Modi, in un incontro avvenuto durante l’ultimo summit del G20, quello che si è svolto il 9 e il 10 settembre proprio a Nuova Delhi. In quell’occasione Trudeau avrebbe detto al leader indiano che qualsiasi coinvolgimento “nell’uccisione di un cittadino canadese sul suolo canadese” sarebbe stato inaccettabile, chiedendogli inoltre di cooperare nelle indagini sul caso. Una posizione simile è stata poi espressa dalla ministra degli Esteri canadese Melanie Joly: a suo dire, un coinvolgimento indiano “costituirebbe una grave violazione della nostra sovranità e delle regole più basilari su come i paesi dovrebbero comportarsi tra loro”. Di qui la decisione di espellere un diplomatico indiano di alto livello: si tratta di Pavan Kumar Rai, considerato il direttore dell’intelligence indiana in Canada. Joly ha inoltre annunciato di aver sollevato il caso ai suoi omologhi del G7 prima dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si è aperta il 18 settembre a New York.

LE ACCUSE DELL’INDIA – Dall’altro lato, il ministero degli Esteri indiano ha definito le accuse canadesi “assurde e immotivate” in quanto l’India è uno “Stato democratico con un forte impegno per lo Stato di diritto”. Tali accuse sarebbero inoltre un modo “di spostare l’attenzione dai terroristi e dagli estremisti Khalistani, a cui è stato offerto rifugio in Canada”. Ancora, il ministero degli Esteri si è detto preoccupato “per l’interferenza dei diplomatici canadesi nelle nostre questioni interne e il loro coinvolgimento in attività anti-India”. Di qui la richiesta a Ottawa di intraprendere “azioni legali rapide ed efficaci contro tutti gli elementi anti-indiani che operano in territorio canadese”. Una posizione, questa, condivisa anche dalla principale formazione di opposizione, il Partito del Congresso. In occasione del G20, poi, lo stesso Modi aveva espresso al suo omologo canadese “forti preoccupazioni” per la gestione da parte del Canada del movimento separatista, chiedendo la cooperazione di Ottawa.

NESSUN PAESE E’ AL RIPARO? – Il caso dell’indipendentista sikh è destinato ad acuire le tensioni tra India e Canada. Tensioni evidenti già all’inizio di settembre, quando il governo di Ottawa sospese i negoziati su un accordo di libero scambio con Nuova Delhi. A questo punto è possibile che dietro quella decisione si nascondessero proprio i sospetti su un coinvolgimento indiano nell’omicidio di Nijjar. E tuttavia, casi analoghi rischiano di colpire anche altri paesi del mondo. A Lahore, in Pakistan, lo scorso maggio è stato assassinato Paramjit Singh Panjwar, un uomo accusato dall’India di terrorismo. A giugno, a Birmingham, in Gran Bretagna, è morto il capo della Forza di liberazione del Khalistan, Avtar Singh Khanda, forse per un caso di avvelenamento. E a metà luglio un altro sikh è morto in Canada, sempre a Surrey: si tratta di Ripudaman Sing Malik. Insomma, se fossero accertate le responsabilità di Nuova Delhi, ciò implicherebbe che potenzialmente nessun paese è al riparo da agguati contro fedeli sikh. Il rischio maggiore sarebbe quello sperimentato dai paesi con le più ampie comunità appartenenti a questa confessione, ossia Regno Unito, Canada e Australia. Fatto sta che Trudeau sembra veramente preoccupato, tanto da arrivare a parlare del caso con Joe Biden e Rishi Sunak. Timori, questi, che potrebbero aver contagiato anche la Casa Bianca: in un comunicato, il governo statunitense ha espresso “profonda preoccupazione” per le accuse lanciate da Ottawa.