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Migranti, e se governasse il Pd? Il responsabile Majorino: “130mila sbarchi non sono troppi, ma flussi e accoglienza vanno gestiti”

Il responsabile immigrazione del Partito democratico, Pierfrancesco Majorino, è appena tornato da Lampedusa. Mentre la maggioranza di governo si misura con un numero di sbarchi record, non fare sconti è un imperativo. “La loro credibilità sta a zero e dobbiamo ricordarglielo ogni giorno”, attacca. E se al posto di Meloni e Salvini ci fossero i dem? Le ricette del Pd targato Elly Schlein partono da un paradigma opposto: “Organizzare flussi regolari e gestirli”.

Majorino, annate come questa ci sono già state, ma Lampedusa non aveva mai visto 7000 persone tutte in una volta.

Non dico che il numero sia responsabilità loro. La destra però deve ammettere che ha raccontato gigantesche bugie in anni nei quali ha spiegato che i migranti arrivavano per via delle Ong o dei governi di centrosinistra. È la realtà che lo dimostra. Quanto alla concentrazione su Lampedusa, la responsabilità è nell’assenza di una missione di soccorso più avanzata, che intercetti prima i barchini che invece avanzano fin dove riescono e così arrivano sull’isola. Per questo avremmo bisogno di una Mare Nostrum europea. Ma non solo: Lampedusa è un tappo perché i meccanismi di distribuzione sono farraginosi. Questo accade perché manca un piano nazionale dell’accoglienza che non hanno voluto fare per non ammettere di fronte ai loro elettori che se ne devono occupare.

Perché l’accordo con la Tunisia non sta funzionando?
Non è la prima volta che le migrazioni subiscono queste accelerazioni in ragione dell’instabilità o dei processi di radicalizzazione dei regimi in carica. E la grande instabilità della Tunisia spinge molti a lasciare il Paese. Certo, va poi capito se c’è dell’altro in termini di organizzazione dei flussi, ma l’accordo voluto dall’Italia non poteva funzionare perché si è messo nelle mani di un dittatore uno strumento di ricatto nei nostri confronti senza studiare altri canali di accesso. L’obiettivo deve essere quello di evitare che le persone arrivino coi barchini del traffico di esseri umani. Ma il governo italiano ha cancellato il tema: non lavora sui canali di accesso legali, su un sistema di visti che consenta flussi regolari, perché ha paura di dire ai suoi elettori che lavora anche per organizzare i flussi e per gestirli.

Siamo ormai a 130mila sbarchi da inizio anno: sono troppi?
No, il problema non è che sono troppi, ma che avvengono nell’irregolarità e senza gestione. Il numero è certamente alto, ma potremmo assorbirlo a livello italiano ed europeo. Però manca un grande piano di accoglienza diffusa. Non mi rassegno a pensare che nella mia Milano sono ospitati 1500 minori non accompagnati mentre ci sono centinaia di comuni che non ne ospitano nemmeno mezzo.

Ha parlato con le persone sbarcate? Hanno obiettivi, una meta?
Come sempre in questi anni c’è qualche riferimento in qualche città, qualche progetto migratorio un po’ più strutturato e poi generalmente l’idea di cercare fortuna in Europa, dove le mete più ambite rimangono i Paesi del centro-nord Europa, con Germania e Paesi scandinavi in testa e i numeri delle richieste d’asilo lo dimostrano.

Meloni e Salvini hanno vinto anche perché ritenuti più credibili di altri sull’immigrazione. Qual è l’errore della sinistra che ha dato loro più vantaggio?
Se sei fragile sul piano sociale alimenti una sorta di grande conflitto tra i migranti e gli impauriti e questo è il terreno in cui è cresciuta almeno una parte del consenso della destra. Quindi ci vuole una politica decisamente più radicale sul lavoro, la casa, la sanità, il salario. Questioni sacrosante in sé che producono anche l’effetto di ridurre la competizione nel tempo della globalizzazione. Per questo condivido ampiamente l’impostazione di Elly Schlein. Quanto a noi, avremmo dovuto cambiare la legge Bossi-Fini. Anche se non era facile sul piano del rapporto con l’opinione pubblica dovevamo farlo quando avevamo i numeri. Siamo al lavoro per scrivere una proposta radicalmente diversa.

Cade il governo Meloni e tocca a voi. Sull’immigrazione da dove ripartite?
Serve cambiare rotta subito a prescindere da chi governa. La strada l’hanno indicata il Presidente Mattarella e Papa Francesco con grande semplicità: canali d’accesso legali. C’è bisogno di un cambiamento delle politiche a livello europeo, con un superamento del regolamento di Dublino che sgravi i Paesi di primo ingresso come l’Italia. E poi di una missione Mare nostrum europea, dell’abrogazione della Bossi-Fini e di un piano nazionale per l’accoglienza diffusa.

Dimensione esterna: come gestire i rapporti con i Paesi extra Ue, a partire da quelli africani?
Si deve salvaguardare di più il tema dei diritti umani che non può essere il piccolo capitolo finale nascosto in un accordo come quello con Tunisi accordi. Qualsiasi gestione comune deve partire dalla salvaguardia dei diritti. E serve un impegno vero nelle politiche di sviluppo: la destra italiana che parla di piano Mattei per l’Africa è la stessa che in Europa vota sistematicamente contro ogni intervento a favore della cooperazione, alla faccia dell’aiutiamoli a casa loro.

Dimensione europea: qual è oggi la vostra battaglia a Bruxelles per una politica immigratoria sostenibile?
L’Europa non può chiamarsi fuori e non è solo colpa di Orban, tanto per capirci. Il Patto per l’immigrazione come sta emergendo rischia di essere una grande occasione persa che non cambia le cose di una virgola. Verso le elezioni europee sarà un terreno di grande battaglia politica. Sono fiducioso che si possa invertire la rotta a partire ancora una volta dal superamento di Dublino e dai canali d’accesso legali.

Elly Schlein è favorevole a un’accoglienza come servizio erogato dai comuni. I tempi sono maturi per dire che nessuno può chiamarsi fuori?
Sono sempre stato per un’accoglienza obbligatoria per tutti i comuni, e se li organizzi in distretti puoi coinvolgere anche quelli più piccoli. Il problema è che devono esserci mezzi e risorse, è un piano costoso e bisogna avere il coraggio di dirlo e di stanziare le risorse. Oggi i sindaci sono i primi da ascoltare, perché finora i comuni hanno pagato un prezzo enorme. Devono diventare la leva essenziale dell’accoglienza diffusa e di qualità, ma significa attribuire loro i mezzi e il personale adeguato.