Mafie

Tra gli esercizi liberi da infiltrazioni mafiose molti aspettano la certificazione: è un’emergenza

L’Hostaria Terza Carbonaia è una pizzeria e ristorante di carne in via degli Scipioni, a Milano, allo stato attuale libera da tentativi di infiltrazione mafiosa. Così la certifica la Prefettura Milanese. Come La Dogana del Buongusto, ristorante vineria in via Molino delle Armi sempre a Milano.

Anche il Boccone del Cardinale in Via Cappella dei Bisi, 111 a Santa Maria la Carità a Napoli o I Due Merli Ristorante Barbarossa a Anacapri o la Venerina al Mascherino in via del Mascherino 80 a Roma oppure ancora il Caffe Palombini all’Eur: sono tutti esercizi pubblici certificati. Iscritti alla White List antimafia delle prefetture italiane.

Dal 2020, con l’approvazione della legge numero 40, ristorazione, gestione delle mense e catering sono state inserite tra i settori a maggior rischio di infiltrazione mafiosa creando all’interno delle White List una sezione apposta: la numero IX. Gli altri settori a rischio sono: il trasporto terra, la fornitura di calcestruzzo e di bitume; la guardiania dei cantieri; i servizi cimiteriali; il trattamento e smaltimento dei rifiuti, nonché le attività di risanamento e di bonifica.

Al momento, alla categoria IX, sono iscritte, nelle sole White List di Milano, Roma e Napoli, 329 società.

Ricordiamoci che ai sensi dell’art. 1, comma 52 della Legge 190/2012, le stazioni appaltanti, prima di sottoscrivere, autorizzare un contratto o un subcontratto, di qualsiasi importo, relativo alle attività maggiormente a rischio ed elencate dall’art. 1, comma 53 della 190/2012, dovranno obbligatoriamente acquisire la documentazione antimafia mediante consultazione delle White List provinciali della Prefettura territorialmente competente. Nelle White list, quindi, ci si entra se la Prefettura territorialmente competente certifica che la società è libera da ogni tentativo di infiltrazione mafiosa. L’iscrizione è valida per dodici mesi dalla data in cui è disposta, salvi gli esiti delle verifiche periodiche. I tentativi si possono desumere anche dall’analisi dei provvedimenti giudiziari che dispongono una misura cautelare o il rinvio a giudizio, oppure da una condanna anche non definitiva. Dalle proposte di applicazione di una misura di prevenzione. Dall’omessa denuncia di tentativi di concussione o estorsione, da parte del titolare o dei soci o del direttore tecnico o di altro personale dotato di rappresentanza, laddove chi chiede la tangente o è protagonista del ricatto lo fa con l’aggravante di voler favorire l’associazione mafiosa; dalle sostituzioni negli organi sociali, con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia. Quindi non solo precedenti penali ma qualsiasi informazione utile per verificare l’integrità aziendale.

Sono quasi 11 mila le aziende iscritte alle sole White List di Milano, Roma e Napoli. Peccato che il 40% di queste aspetti ancora la certificazione. A Milano, per esempio, la Coimec di Cormano ha avanzato una richiesta di iscrizione il 5 agosto 2015 e non ha avuto ancora una risposta. Un caso limite. Senza dubbio. Sono 3, invece, le aziende che aspettano dal 2016 e 32 dal 2017. Mentre il 25% del totale delle 3 liste, circa 2800 aziende, aspettano l’aggiornamento annuale della certificazione. Solo il 35% delle aziende iscritte hanno la certificazione ancora valida e in corso.

Pensiamo sia un’emergenza. E se l’ufficio del processo intendeva, pare senza il successo auspicato e sperato, aiutare la magistratura a disincagliare i procedimenti penali e civili, pensiamo che un “ufficio della certificazione antimafia” potrebbe rispondere concretamente ed efficacemente alla necessità di selezionare aziende sane che possano al meglio utilizzare i fondi pubblici, anche europei.

Sarebbe bello se l’Hosteria di via degli Scipioni avesse un bel bollino da esporre all’entrata del locale. E se decidessero di farlo loro, autonomamente? Perché no? Sarebbe importante che le stazioni appaltanti pubbliche – ministeri, regioni, comuni, aziende sanitarie – valorizzassero le White list della ristorazione garantendo i buoni pasto per i dipendenti, solamente se utilizzabili nei ristoranti liberi dalla mafia!

Perché no? Nella tutela della sana e libera concorrenza di mercato, libero dalle mafie, innovazione e creatività sono fondamentali!