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La crisi climatica costa 30 miliardi all’Africa orientale, ma dai Paesi ricchi solo il 5% degli aiuti

di Francesco Petrelli*

Il prezzo che l’Africa sta pagando per l’impatto della crisi climatica è sempre più alto e potrebbe raggiungere dimensioni catastrofiche nei Paesi più colpiti che fanno tutti parte della Regione dell’Africa Orientale: Etiopia, Kenya, Somalia e Sudan. Eppure il mondo ricco continua a girarsi dall’altra parte. Restando da un lato quasi indifferente alle sofferenze di milioni di persone, mostrando scarsa lungimiranza rispetto al futuro.

Già assistiamo infatti a vere e proprie migrazioni forzate di massa, sia all’interno del Continente africano, che verso l’Europa e nei Paesi menzionati, dove oltre 1,7 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per poter sopravvivere alla mancanza di acqua e cibo, causata dalla più grave siccità degli ultimi 40 anni a cui si sono sommate le alluvioni degli ultimi mesi.

I dati sono impietosi e proprio nei giorni dell’African Climate Summit in programma fino al 6 settembre a Nairobi in Kenya, vale la pena portarli in piena luce, perché il tempo per agire sta scadendo irrimediabilmente.

Ad oggi – come sottolineato dall’ultimo report di Oxfam pubblicato in occasione dell’apertura del summit – l’Africa orientale ha già subito dal 2021 al 2023 perdite e danni stimati in 30 miliardi di dollari, ma le Nazioni ricche ed industrializzate ad ora hanno stanziato meno del 5% dei 53,3 miliardi di dollari di cui gli stessi Paesi interessati hanno dichiarato di avere assoluta necessità, per affrontare la crisi climatica da qui al 2030.

Secondo le stime delle Nazioni Unite, infatti, eventi climatici sempre più estremi produrranno perdite annuali pari al 2-4% del Pil dell’intera area, che ad oggi vale appena 260 miliardi.

Raddoppiata la fame in 5 anni, decimati gli allevamenti da cui dipende la sussistenza della popolazione

Due anni di siccità senza precedenti e inondazioni sempre più violente in vaste aree dei quattro paesi hanno portato ad oggi oltre 43,5 milioni di persone a soffrire di malnutrizione, mentre solo cinque anni fa erano 20,7. I raccolti sono andati distrutti e sono morti quasi 13 milioni di capi di bestiame, per una perdita di 7,4 miliardi di dollari.

La popolazione nell’intera regione deve dunque affrontare una terribile scarsità d’acqua, che ricade soprattutto sulle spalle delle donne, costrette a ore e ore di cammino per raccogliere l’acqua necessaria ai bisogni essenziali. Sempre più ragazze sono costrette a sposarsi giovanissime e ad abbandonare la scuola, per lasciare la propria famiglia di origine con una bocca in meno da sfamare.

“Ho assistito a precedenti siccità, ma non ho mai visto nulla di simile prima d’ora – racconta Nimo Suleiman, madre di due figli costretta a fuggire dal Somaliland, una delle aree più colpite dalla siccità dove Oxfam lavora per soccorrere la popolazione – La fonte d’acqua più vicina è a cinque chilometri di distanza, la strada per raggiungerla però non è sicura e fa molto caldo, ma la sopravvivenza della mia famiglia dipende dal fatto che riesca ogni giorno ad arrivarci e tornare a casa”.

Una vergognosa “disuguaglianza climatica”

A pochi mesi dalla Cop28 sul clima che si svolgerà negli Emirati Arabi, val la pena poi ricordare che le economie industrializzate continuano a produrre e hanno generato un impatto inquinante imparagonabile rispetto a quello dei Paesi più poveri, i quali però ne pagano il prezzo più alto. Le economie industrializzate continuano a produrre e hanno generato nel tempo un impatto inquinante esponenzialmente maggiore rispetto ai Paesi più poveri, che però ne pagano il prezzo più alto.

Un esempio su tutti: i Paesi del G7 assieme alla Russia da soli sono responsabili dell’85% delle emissioni globali dal 1850, ossia 850 volte quelle prodotte da Kenya, Etiopia, Somalia e Sud Sudan messi insieme nello stesso periodo.

Anche per il 2023 stanziati appena un terzo degli aiuti necessari, dall’Italia poco meno di 9 milioni

In tutto questo resta l’impegno del tutto insufficiente da parte dei Paesi donatori che, secondo i dati dell’Ufficio Affari Umanitari dell’Onu (UNOCHA), ad oggi per il 2023 hanno stanziato appena un terzo degli aiuti necessari a fronteggiare una crisi umanitaria che rischia di produrre una vittima per fame ogni 36 secondi nei prossimi mesi. Cifre che si fa persino fatica ad immaginare e che descrivono una delle più gravi emergenze umanitarie al mondo.

Aiuti che per molti donatori sono in calo rispetto a quanto fu stanziato per affrontare l’altra grande siccità che colpì l’Africa orientale nel 2017. E l’Italia non fa eccezione con appena 8,9 milioni stanziati per il 2023, contro gli oltre 10 erogati 5 anni fa. Risorse che in ogni caso rappresentano davvero una goccia nel mare.

La Conferenza intergovernativa Italia-Africa di Roma ne parlerà?

Ci chiediamo inoltre se il cosiddetto “Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo” – da mesi annunciato dal governo come un cambio di rotta strategico – e in particolare la Conferenza intergovernativa Italia-Africa, che si svolgerà a Roma in autunno, porranno al centro la drammatica emergenza dell’Africa Orientale e dei Paesi del Corno che fanno parte delle responsabilità storiche della nostra storia coloniale. Per ora, dopo la visita della Premier Giorgia Meloni ad aprile in Etiopia, non abbiamo avuto notizia di nuovi impegni.

Al momento può esserci solo l’auspicio che i Paesi africani, a partire dal summit di questi giorni, riescano a far sentire la propria voce, in vista della Cop28 di dicembre, quando perlomeno l’attenzione globale e i riflettori dei media si riaccenderanno sulla crisi climatica e sui suoi sempre più apocalittici effetti. Ai Paesi ricchi chiediamo invece con forza di finanziare immediatamente l’intero appello lanciato dalla Nazioni Unite per l’Africa orientale, stanziando gli 8,4 miliardi necessari a salvare più vite possibile, da qui alla fine dell’anno.

* policy advisor su sicurezza alimentare e finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia