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La mano di Erdogan sul Mediterraneo: proteste in Libia per la costruzione di una base militare turca. Il nodo del gas incustodito

Nei giorni in cui a Tripoli imperversava la battaglia tra la brigata 444 e la Forza Speciale di Deterrenza a seguito del sequestro del generale Mahmoud Hamza, qualcosa stava succedendo anche 120 chilometri a est della capitale libica. Il 17 agosto violente proteste sono scoppiate tra i residenti dell’area attorno al porto di Al Khoms, snodo marittimo commerciale fondamentale per la Libia, da anni al centro di un fitto intreccio geopolitico. Di facile accesso alla principale arteria stradale costiera che collega Al Khoms e Tripoli, infatti, il porto si trova a pochi chilometri dall’importante complesso siderurgico della città di Misurata, così come dalle fabbriche di cemento di Al Khoms. Insomma, un’infrastruttura che qualcuno definirebbe “strategica” su cui tutti vorrebbero mettere le mani. La notizia che ha scatenato l’ira dei residenti è il presunto contratto di affitto che sarebbe stato stipulato tra il governo di Abdulhamid Dbeibah e quello di Ankara per costruire una base militare turca proprio nel porto di Al Khoms. Con l’arrivo dei turchi, infatti, circa cinquemila famiglie libiche che vivono del lavoro al porto, potrebbero rimanere senza stipendio. Il governo di Tripoli e le autorità portuali si sono affrettate a smentire la notizia, allo stesso tempo però ordinavano lo sgombero dei locali del porto per fare spazio ai nuovi inquilini, mentre in queste ore almeno due navi della Marina turca sono state viste attraccare al porto di Al Khoms. La strada costiera che porta a Tripoli è stata temporaneamente chiusa, mentre i residenti davano fuoco a pile di pneumatici sulla carreggiata in segno di protesta.

A distanza di giorni dall’inizio delle proteste, la tensione rimane alta attorno all’area, dove la Turchia ha allungato i suoi tentacoli già da tempo. L’esercito turco, infatti, fornisce addestramento militare alle forze armate governative libiche sulla base di un memorandum di sicurezza e cooperazione militare firmato da Ankara nel 2019 con il precedente governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj. Ciclicamente, il Ministero della Difesa turco pubblica foto sui social network che mostrano istruttori turchi mentre addestrano il personale navale del governo tripolino presso il Joint Maritime Training Center di Al Khoms. Ad oggi, circa 900 membri della marina libica sono stati addestrati attraverso questo accordo fra Libia e Turchia. Dietro la facciata della cooperazione militare, però, si cela il tentativo di mantenere la presenza turca in uno dei passaggi più importanti del territorio libico. Basti ricordare che proprio da questa base, nel 2019, le forze turche hanno sferrato attacchi contro l’esercito guidato da Khalifa Haftar durante la sua avanzata verso Tripoli. Il porto di Khoms, dunque, sarebbe una perfetta testa di ponte per Ankara consentendo ad Erdogan di mantenere una certa influenza militare e geopolitica nel Mediterraneo.

Nel frattempo da Benghazi tutto tace. L’uomo forte della Cirenaica non ha commentato le notizie trapelate sul presunto accordo riguardante il futuro del porto di Al Khoms. Nessuna pubblica opposizione, dunque. D’altra parte, lo stesso Khalifa Haftar ha lasciato aperto un canale di dialogo con Dbeibah. Non è un caso – ad esempio- che il figlio del feldmaresciallo, Saddam Haftar, e il primo ministro di Tripoli si siano incontrati la scorsa estate per decidere congiuntamente la nomina di Farhat Bengdara a capo della National Oil Corporation (Noc), la società petrolifera di stato. Per ora dunque niente polemiche. Haftar si muove con cautela e strategia.

Il presunto accordo avrebbe invece infastidito Il Cairo che vorrebbe i turchi fuori dalla partita libica, nonostante il riavvicinamento diplomatico fra i due Paesi suggellato dalla reciproca nomina degli ambasciatori nelle rispettive capitali a luglio di quest’anno, dopo una crisi durata dieci anni. Nel 2013, infatti, l’Egitto ha espulso l’ambasciatore turco accusando Ankara di sostenere i Fratelli Musulmani, movimento islamico radicale considerato una minaccia per la stabilità del Paese nordafricano e presente – tra gli altri- anche in Libia. É ragionevole pensare, dunque, che uno dei dossier sul tavolo del prossimo vertice tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo omologo egiziano, Abdel Fattah el-Sisi, sarà proprio quello riguardante il controllo del porto di Al Khoms.

C’è, però, un’altra questione urgente sul tavolo. Secondo quanto riferito dal portale di informazione Raseef22, nel porto di Al Khoms si troverebbero otto container pieni di gas rimasti incustoditi che potrebbero esplodere da un momento all’altro. A lanciare l’allarme è Nasser Ammar, comandante della Forza di Supporto dell’Operazione Vulcano di Rabbia – per intenderci, l’operazione con la quale le forze di Tripoli hanno cacciato i miliziani dell’Isis da Sirte nel 2016 e che hanno respinto l’avanzata verso Tripoli di Khalifa Haftar nel 2020. L’esplosione che ne deriverebbe sarebbe potenzialmente catastrofica: i media libici parlano di un disastro paragonabile a quello del porto di Beirut dell’agosto 2021.