Calcio

Il Barcellona e le strategie di Laporta per poter sbloccare il tetto degli stipendi: vendere pezzi del club tra azzardi e rischi calcolati

“Non sono un giocatore d’azzardo, assumo solo rischi calcolati”. Con queste parole il presidente Joan Laporta ha presentato le nuove iniziative di finanza creativa del Barcellona che hanno consentito ai blaugrana, per la seconda volta in pochi mesi, di superare i limiti del salary cap della Liga spagnola e registrare i nuovi arrivi dal mercato. A pochi giorni dall’inizio del campionato infatti Xavi aveva a disposizione una rosa di 13 giocatori, non considerando quelli provenienti dalle giovanili, con l’ingaggio di Ilkay Gündogan e il rinnovo contrattuale di Ronald Araujo bloccati dalla Liga a causa dello sforamento del Lcpd (Límite de coste de plantilla deportiva), ovvero il limite di costo della rosa sportiva, calcolato in base alle entrate del club. Un problema risolto con la vendita del 29,5% di un ramo aziendale, il Barça Vision, a due fondi di investimento con base in Germania e Olanda, per una cifra attorno ai 120 milioni di euro.

Un’operazione una tantum di vendita di pezzi del proprio impero che il Barcellona ha ripetuto per la terza volta in un anno. La prima era avvenuta nell’estate del 2022, quando i catalani avevano ceduto fino al 2047 il 25% dei propri futuri ricavi televisivi al fondo di San Francisco Sixth Street, che ha sborsato 667 milioni di euro, necessari per dare ossigeno a una situazione finanziaria al collasso, con debiti superiori al mezzo miliardo di euro. Considerata la tendenza dei diritti televisivi a crescere di valore nel corso del tempo, la Sixth Street ha ipotizzato nei prossimi 25 anni di ricavare circa 1,3 miliardi, raddoppiando di fatto l’investimento. Per il Barcellona si è trattato invece di una necessaria ipoteca su una parte delle proprie future entrate. Secondo i critici di Laporta, sacrificare una quota degli introiti fissi a favore di soluzioni estemporanee è un gioco pericoloso perché nel medio periodo non incide a livello strutturale sulla situazione finanziaria del club, gravata da una serie di costi (in primis gli stipendi, arrivati anche a superare i 500 milioni di euro) che le entrate fisse non riescono a sostenere. Introiti oltretutto destinati a diminuire nei prossimi anni a causa dei lavori di rinnovamento del Camp Nou, con la squadra costretta a trasferirsi nel più piccolo Stadio Olimpico di Montjuic.

Oltre ai soldi della Sixth Street, il Barcellona ha concluso un’ulteriore affare in uscita da 100 milioni di euro cedendo il 50% dei Barça Studios, il ramo mediatico del club in cui vengono realizzate produzioni audiovisive quali ad esempio, per Barça TV+, il servizio di streaming della squadra, alle società di criptovalute Socios.com e Orpheus Media. Un accordo definito da Laporta “strategico”, in quanto l’esperienza di tali aziende nel campo della blockchain, delle criptovalute e degli NFT avrebbe potuto garantire un impulso innovativo che avrebbe permesso ai cinque volte campioni europei di beneficiare al meglio degli sviluppi digitali. Ma questi soldi non sono arrivati. Dopo un primo acconto di 10 milioni, la quota annuale prevista per la stagione 2022/23 pari a 30 milioni non è stata versata. La conseguenza è stata la riduzione del tetto salariale previsto dalla Liga, causando i problemi di mercato sopra citati. È stata quindi necessaria una terza operazione di vendita, ma in questo caso sarebbe più appropriato chiamarla rivendita, di una quota dei Barça Studios, ribattezzati nel frattempo Barça Vision. Negli stessi giorni è arrivata anche la cessione di Ousmane Dembélé al Paris Saint-Germain (uno dei peggiori affari di mercato nella storia del Barcellona visto che il suo cartellino è stato venduto a meno della metà del costo di acquisto, ma questa è un’altra storia) che ha permesso di sbloccare l’impasse Gundogan-Araujo.

I 120 milioni di euro per il 29,5% di Barça Vision non rappresentano denaro aggiuntivo, ma solo poco più di quello dovuto dagli inadempienti Socios.com e Orpheus Media. I nuovi investitori però arrivano da un mondo completamente diverso, che non c’entra nulla con quello dei media e degli sviluppi digitali. Il 19,7% delle quote è stato acquistato da NIPA Capital, un fondo di investimento con sede in Olanda che opera nel settore immobiliare e alberghiero. Il restante 9,8% è invece appannaggio di un altro fondo, questa volta tedesco, che si chiama Libero Football Finance e vede coinvolto un volto noto del calcio, ovvero l’ex amministratore delegato di Manchester United e Chelsea Peter Kenyon, la cui ultima esperienza attiva nel mondo pallonaro risale al 2014 con Doyen, il fondo maltese che deteneva quote di cartellini di giocatori. Una pratica, quella delle TPO (Third-party ownership), dichiarata illegale dalla FIFA proprio in quell’anno.

Laporta si dichiara convinto che i contenuti prodotti da Barça Vision possono diventare una fonte di reddito fisso importante per il club, alla pari delle sponsorizzazioni, della biglietteria e dei diritti tv. Il Barcellona afferma di avere 350 milioni di fan e 440 milioni di follower sui social media. Un bacino enorme di potenziali utenti da raggiungere sulle piattaforme televisive quali Netflix, Disney, Sony Pictures, così come attraverso nuovi prodotti digitali. Servono però investimenti cospicui, ed è lecito domandarsi dove troverà i soldi necessari una società che già fatica a pagare i conti. La risposta rimanda alla dichiarazione di Laporta citata a inizio articolo: che si tratti di azzardo o rischio calcolato, la soluzione di Laporta si chiama Nasdaq. Il Barcellona vuole diventare il primo club calcistico al mondo a quotare in Borsa un proprio ramo aziendale. Si chiamerà Barça Media e può essere considerato un’evoluzione di Barça Vision, al cui interno saranno raccolti tutti i contenuti audiovisivi prodotti e tutto ciò che riguarda le iniziative e l’innovazione online (come ad esempio NFT e Web3).

La materia è complessa e può risultare noiosa. In estrema sintesi, la procedura normale per essere quotati al Nasdaq può richiedere anni a causa dei controlli dell’autorità della Borsa. Esiste però una scorciatoia: creare una SPAC (società di acquisizione per scopi speciali), ovvero una società vuota nella quale gli investitori mettono i loro soldi senza sapere in anticipo in cosa stanno investendo. Una volta ricevuto l’ok dall’autorità della Borsa, la SPAC potrebbe essere acquisita da un’altra società e a quel punto gli investitori, venuti a conoscenza dei piani definitivi dei loro investimenti, possono ritirare i propri soldi se non reputano convincenti le prospettive offerte. La costruzione del Barcellona parte da una SPAC chiamata Mountain & Co., fondata nel 2021 con sede alle Isole Cayman, e che attualmente ha raccolto investimenti per 200 milioni di euro. Entro la fine dell’anno dovrà avvenire la fusione tra Mountain & Co e Barça Media in una nuova società quotata. Per il momento i blaugrana sono in attesa dei capitali sufficienti e dell’approvazione da parte del regolatore della Borsa americana, oltre che dell’approvazione dei soci del club. Un’operazione rischiosa in quanto legata alle decisioni sopra menzionate degli investitori, ma che in caso di riuscita positiva potrebbe garantire al Barcellona un importante gettito extra per continuare a finanziarie le proprie politiche di mercato non sostenibili con le entrate attuali. Laporta è un visionario un passo davanti a tutti o un giocatore d’azzardo destinato a portare il club alla rovina? La risposta nei prossimi anni.