Scienza

Così il tumore “esaurisce” in poche ore il sistema immunitario, lo studio su Nature Immunology

Tre anni fa su Nature Immunology venne pubblicato uno studio che spiega il meccanismo con cui “le cellule immunitarie riconoscono i tumori e li attaccano a colpo sicuro”. Oggi sempre sulla prestigiosa rivista scientifica uno studio ipotizza che i linfociti T, quelle cellule del sistema immunitario potenzialmente in grado di uccidere le cellule tumorali, perdono la capacità di combattere entro poche ore dall’incontro con il tumore: tra le 6 e le 12 ore.

Lo studio è stato coordinato dai ricercatori della Vanderbilt University di Nashville (Usa) e si è concentrato su un fenomeno noto avvero quello dell’’esaurimento’ delle cellule immunitarie che combattono. Tuttavia, “l’idea era che le cellule T che sono esposte a un antigene (come quello di un tumore o di un agente patogeno) restino in funzione per un lungo tempo e poi a un certo punto si esauriscano“, spiega in una nota la coordinatrice dello studio Mary Philip. Secondo lo studio, la dinamica, quando le cellule immunitarie si trovano di fronte al tumore, è completamente diversa: in test condotti su topi è emerso che bastano 6-12 ore per rendere almeno una parte di linfociti T disfunzionali. “Non credo che nessuno se lo aspettasse; questa è una finestra temporale molto stretta”, dice ancora Philip.

Il fenomeno è stato osservato in diversi tumori (fegato e melanoma), il che – spiegano i ricercatori – fa pensare che non dipenda dal tipo di cancro. Inoltre, sembra che i cambiamenti indotti dal cancro nei linfociti T siano duraturi, se non permanenti: nei test, infatti, i linfociti ‘esaustì trapiantati in un topo senza cancro non son sono in grado di recuperare la loro funzione.
Per i ricercatori, lo studio potrebbe essere utile per utilizzare meglio i farmaci immunoterapici; il team ha infatti identificato biomarcatori che sono in grado di prevedere se i linfociti T saranno in grado di rispondere al tumore o meno. “Sappiamo che gli inibitori dei checkpoint immunitari e altri interventi di immunoterapia non funzionano in molti pazienti ed è importante essere in grado di prevedere la risposta ed evitare terapie che non gioveranno ai pazienti”, ha concluso Philip.

Foto di archivio