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Putin investe sull’Africa per evitare l’isolamento. L’esperto: “Molti Paesi del continente sono aperti a un nuovo ordine multipolare”

Accordi di cooperazione tecnico-militare con una quarantina di Paesi africani, la promessa di “aprire nuove missioni diplomatiche“, quella di “effettuare parte delle consegne di armamenti a titolo gratuito” e di fornire sempre gratuitamente tra le 25mila e le 50mila tonnellate di grano nei prossimi quattro mesi ai Paesi più in difficoltà del continente africano, cioè Zimbabwe, Somalia, Burkina Faso ed Eritrea. Inoltre, “la Russia stanzierà più di 90 milioni di dollari per i Paesi africani, mentre l’importo totale del debito cancellato ha raggiunto i 23 miliardi di dollari”. A quattro anni di distanza dalla prima edizione a Sochi, il presidente russo Vladimir Putin ha alzato la posta durante il secondo summit Russia-Africa, tenutosi a San Pietroburgo, nel tentativo di riannodare i fili delle relazioni di Mosca con un continente che in epoca sovietica era stato oggetto di regolari attenzioni, esemplificate anche dal sostegno alle lotte anti-coloniali. “Abbiamo sempre appoggiato i popoli africani nella loro battaglia per la liberazione dal giogo coloniale, li abbiamo assistiti nella creazione di un sistema statale, nel rafforzamento della loro sovranità e della loro capacità difensiva”, si legge in una nota fatta circolare dalle sedi diplomatiche russe alla vigilia del summit.

Tuttavia il parterre di San Pietroburgo era molto diverso da quello di Sochi: solo 17 capi di Stato africani, più altri dieci primi ministri, contro i 43 capi di Stato del 2019. Possibile, come ha affermato lo stesso Putin, che le pressioni occidentali affinché in molti non partecipassero abbiano giocato un ruolo, così come un ruolo lo avrà probabilmente giocato la stessa invasione dell’Ucraina da parte di Mosca che ha contribuito a porre una serie di Stati in una situazione delicata, considerando anche le relazioni con l’Unione europea, con la quale l’interscambio commerciale – circa 295 miliardi di dollari – è circa 15 volte superiore rispetto a quello con la Russia, che si ferma a 18 miliardi. Una cifra, quest’ultima, che secondo i piani di Putin delineati a Sochi 4 anni fa sarebbe dovuta essere molto superiore: durante il primo summit il presidente russo aveva infatti fissato l’obiettivo a circa 75 miliardi di interscambio entro il 2024, numeri che sarà complicato raggiungere.

“Il summit di San Pietroburgo è stato in un certo senso un luogo di scambio. Putin crede di poter dimostrare di non essere isolato, mentre i Paesi africani si accreditano non solo come partner, ma anche come possibili mediatori tra Mosca e l’Occidente, come dimostrato anche dall’iniziativa per i colloqui di pace promossa dal presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, qualche tempo fa”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Giovanni Savino, ricercatore di Storia contemporanea, oggi all’Università Federico II di Napoli ma fino al 2022 docente in diversi atenei di Mosca. “È però vero che solo una settimana fa proprio il Sudafrica aveva ottenuto la non partecipazione russa al vertice Brics, la quale avrebbe messo in forte imbarazzo le autorità locali a causa del mandato di cattura internazionale ai danni del leader russo”, ha aggiunto.

Se le dichiarazioni di intenti russe verso l’Africa non vanno sottovalutate, perché senza dubbio gran parte dei Paesi africani si trova oggi se non altro in una condizione di non-allineamento e nella posizione di poter accogliere anche un approccio russo per lenire la crisi alimentare, va anche ricordato che, a parte l’interscambio, Mosca detiene una quota modesta (circa l’1%) degli investimenti diretti nel continente e che il 70% del commercio russo con l’Africa coinvolge solo quattro paesi (Marocco, Egitto, Algeria e Sudafrica).

L’Africa dipende però dalla Russia per circa il 30% complessivo delle sue importazioni di grano, una quota che Putin sembra voler aumentare a prescindere dalle donazioni appena promesse che sono spiegabili anche con la necessità di smaltire le eccedenze derivanti dalla sovrapproduzione russa. È però indubbio che la retorica “anti-coloniale” di Putin, assieme all’insistenza sulla costruzione di un mondo multipolare, ponga molti Paesi africani perlomeno nella condizione di essere ricettivi, forse anche nella speranza di poter sfruttare a proprio favore l’emersione di più superpotenze, più poli, più partner che possano fungere da alternativa ad altri. Questo sempre considerando che la Russia è in questo senso indietro non solo rispetto all’Unione europea ma anche agli Stati Uniti (il cui interscambio con l’Africa ammonta a circa 80 miliardi) e alla Cina, che ha molti più investimenti in infrastrutture e attività commerciali.

Se sul piano alimentare Putin durante il summit ha cercato di rassicurare le controparti africane, non va dimenticato il comparto militare. La Russia controlla circa metà del mercato delle armi nel continente e anche attraverso la compagnia privata Wagner è coinvolta in almeno cinque o sei teatri regionali, sia a sostegno di alcuni governi che a sostegno di formazioni ribelli che ne minacciano altri. “Le dichiarazioni di Prigozhin sul colpo di Stato in Niger (che ha visto l’ascesa del generale Tchiani, salutata dallo stesso Prigozhin, ndr) come espressione della volontà di liberarsi dai colonizzatori contraddicono le dichiarazioni precedenti di Lavrov (che aveva chiesto la liberazione del presidente Bazoum, ndr), ma sembrano ottenere il sostegno della gente scesa in piazza a Niamey con bandiere russe ed entrano a far parte della questione generale del futuro di Prigozhin”, ha spiegato ancora Savino. Il docente sottolinea poi come la presenza di Wagner in Africa sia fondamentale anche nella gestione del post-ammutinamento dello stesso Prigozhin. Insomma, l’influenza russa sul continente sembra passare anche dall’uomo che un mese fa sembrava voler minacciare il Cremlino e sulla cui compagnia militare diversi leader africani contano nella gestione della propria sicurezza anche personale e nell’addestramento delle truppe.