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Il delitto della Cattolica, 42 anni fa Simonetta Ferrero trovò la morte nei bagni dell’Università per mano di un assassino senza volto e senza nome

Unica traccia del suo killer: l'impronta della sua mano sporca di sangue sulla porta dei bagni

Ci sono vite in balìa del destino più di altre, a cui è bastato svoltare l’angolo per trovarsi faccia a faccia con la morte, una morte inspiegabile come quella di Simonetta Ferrero, congelata nell’immaginario collettivo come “Il delitto della Cattolica”, avvenuto esattamente 42 anni fa.
Come accadde per la povera Marta Russo, la studentessa assassinata nel cortile de La Sapienza, anche a Simonetta è bastato trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, anche lei nel perimetro di un’Università, quella che lei stessa aveva frequentato fino a due anni prima, la Cattolica, dove si era laureata in Scienze Politiche e dove forse era tornata solo perché di strada e aveva necessità di utilizzare una toilette.

Il delitto
Sono le 8,45, è un lunedì mattina di fine luglio, è piena estate. L’università è ancora vuota, ma c’è qualcuno davanti all’ingresso le guardie con le sirene accese: è la squadra omicidi. Poco prima un seminarista dei Padri Salesiani, tale Mario Toso (oggi vescovo e docente), passando davanti al dipartimento di Studi religiosi sente un rumore provenire dal bagno delle ragazze: è l’acqua che scorre da un rubinetto lasciato aperto. È contrario agli sprechi, dirà poi agli inquirenti, entra e vede qualcosa di spaventoso per cui scappa dai bagni in preda al panico. Poco dopo, una studentessa entra nei bagni e vede a terra il corpo di una giovane donna, stesa su un braccio, sembra che dorma su di una pozza di sangue, il suo. Il sangue è ovunque: a terra e sulle pareti e c’è una macchia anche sulla porta del bagno. La ragazza è stata uccisa con 33 coltellate inferte da una lama lunga almeno 15 centimetri o almeno così risulta dalle perizie perché l’arma del delitto non verrà mai ritrovata. Ha provato a difendersi, anche questo emerge. A terra c’è la sua borsa con dentro un foulard, un campionario di stoffe, 3mila lire e dei franchi francesi, dei cosmetici ancora incartati e un dizionario appena acquistato. Ci sono i suoi documenti: è Simonetta Ferrero ed è scomparsa da due giorni. Ha incontrato il suo assassino quel sabato mattina stesso in cui è scomparsa.

Chi è Simonetta?
Simonetta è una ragazza introversa, seria, quasi rigida, molto discreta. Non ha un ragazzo né è molto corteggiata, ha standard molto alti o almeno così dicono gli amici. Bella, studiosa e ben educata. È nata il 2 aprile del 1945 in una famiglia cattolica e benestante, ha uno zio monsignore che è un grande riferimento per la ragazza che è molto religiosa. Dopo il liceo classico ha studiato Scienze politiche proprio lì alla Cattolica, è piena di ambizioni. Studia anche danza, gioca a tennis, è volontaria per la Croce Rossa, è iscritta a Comunione e Liberazione e la contestazione di quegli anni non l’ha neanche sfiorata. Ha subito trovato lavoro alla Montedison, nell’Ufficio personale. Ama il suo lavoro. Quello è il suo primo giorno di ferie, in cui si prepara per partire insieme ai genitori per la Corsica. Prepara la valigia ed esce di casa, passa in profumeria, compra un dizionario e passa dal tappezziere.

Nessuno sa che deve andare in università, si è laureata già due anni prima, nel ’69. Prende il tram numero 15 da via Osoppo dove vive coi suoi e arriva in Corso Vercelli, prosegue a piedi. La prima sosta è in libreria, poi arriva in Corso Magenta. Gira in un vicoletto e raggiunge la Galleria Borella, si ferma in profumeria dove acquista dei flaconi di balsamo. Perché entra alla Cattolica? Forse deve andare in bagno o ha un appuntamento con qualcuno? È stata uccisa 35 ore prima del suo ritrovamento e dall’autopsia risulta che la sua vescica è vuota al momento della morte. La salma viene identificata da due lontani parenti, perché il padre della ragazza è colpito da due infarti e la madre ha un collasso quando gli danno la tragica notizia.

Le indagini
Fra i primi sospettati c’è proprio il seminarista che ha visto per primo il cadavere di Simonetta ma come fa notare il suo avvocato difensore: “Perché il mio assistito avrebbe dovuto tornare sul luogo del delitto? Dove sono i vestiti macchiati di sangue, visto che oggi Toso indossa gli stessi abiti che aveva sabato? Perché avrebbe dovuto aggredire una ragazza che non conosceva e non aveva mai incrociato? Ma soprattutto, dove sono le ferite e i graffi che, secondo i rilevamenti della scientifica, l’assassino si è procurato?” La pista è caduta subito. Poche certezze quelle a cui hanno portato le indagini: Simonetta ha cercato subito la porta di ingresso, una volta aggredita. Si è difesa con veemenza e avrà gridato. La porta era aperta ma nessuno l’ha sentita.

Perché il destino quel giorno non era davvero dalla sua parte. Certo, era sabato, estate e di esami non ce n’erano ma c’erano almeno trenta studenti in sala consultazione. Perché nessuno l’ha sentita? Semplicemente perché le sue grida di aiuto sono state coperte dagli operai a pochi passi dal bagno che stavano lavorando con il martello pneumatico a mezzogiorno. Gli stessi, rintracciati dalla mobile e interrogati, non avevano nessuna traccia di sangue sui vestiti che sono stati sequestrati. E non hanno vestito o sentito nulla. Era da escludere la rapina, perché dalla sua borsetta non sono stati sottratti né i soldi e neppure alcuni gioielli di valore che indossava dal suo corpo. Anche il tentativo di violenza sessuale è stato poi escluso dall’autopsia. Qualcuno l’avrà seguita, forse uno spostato.

Certo è che il suo è stato un omicidio furioso, forse scatenato da un rifiuto. C’era un uomo seduto sulla panchina del chiostro de La Cattolica quel sabato mattina, è stato visto dal custode che lo ha fatto uscire: stempiato, capelli mossi e zigomi schiacciati. Non verrà mai identificato. Un altro uomo strano è stato visto scendere dalla scala da alcuni studenti, fischiava forte e camminava in modo strano. Due giorni prima un altro uomo alto ha seguito due dipendenti della segreteria e le ha aggredite con frasi volgari. Le ha aspettate di sotto, all’uscita dal lavoro. Alcune studentesse di Novara sono state infastidite in treno da un uomo rivisto nei corridoi dell’Università. Quest’uomo fissava sempre le ragazze e le approcciava, maneggiando un coltello che teneva in borsa ma anche questa pista non ha portato a nulla. Decine di mitomani si sono autoaccusati: detenuti, studenti. Sono arrivate anche delle lettere anonime di cui una nel 1993 al dottor Serra, il questore di allora. In questa lettera è stato accusato un sacerdote ma non è stato trovato nessun riscontro rispetto alla morte di Simonetta.

Conclusioni
Tutto ciò che sappiamo, dopo 42 anni è che La Cattolica è una piccola fortezza con poche uscite e ben sorvegliate. Ciò nonostante, gli inquirenti conclusero che l’assassino aveva avuto tutto il tempo per cambiarsi, lavarsi dal sangue della vittima e abbandonare l’Università deserta. Doveva essere completamente sporco di sangue quindi aveva con sé un ricambio. Nei momenti successivi all’omicidio, si sarà affacciato sulla porta di uscita dei bagni su cui ha impresso la sua traccia: un’impronta molto grande, una striscia di sangue trasversale lasciata dalla mano sinistra. Si sarà appoggiato alla porta per sporgersi verso l’esterno e vedere se c’era qualcuno all’orizzonte. Qualcuno forse ha seguito Simonetta quel giorno, mentre lei pensava solo alle vacanze in Corsica che purtroppo non ha mai raggiunto.