Mafie

“Il boss gestiva il clan dal carcere grazie alle videochiamate”: 26 arresti a Palermo. Venti indagati prendevano il reddito di cittadinanza

Una video chiamata dal carcere per continuare a impartire gli ordini nel proprio mandamento e mantenere così il ruolo di comando. Così Salvatore Sorrentino continuava dal carcere a controllare il villaggio Santa Rosalia, una zona di Palermo inserita nel mandamento di Pagliarelli. A gestire gli affari per conto del padre, dopo aver ricevuto gli ordini in videocall, era Vincenzo Sorrentino, figlio 22enne del capomafia. L’ultimo padrino di Palermo, quindi, è giovanissimo. È uno dei retroscena emersi dall’ultima operazione della Guardia di Finanza di Palermo, coordinata dalla procura guidata da Maurizio De Lucia. Più di 60 auto, 220 uomini e mezzi aerei stanotte hanno arrestato 26 persone: una è finita ai domiciliari, mentre altri 7 hanno il divieto di esercitare attività imprenditoriali. Venti dei soggetti finiti nell’inchiesta percepivano direttamente o tramite il proprio nucleo familiare il reddito di cittadinanza, beneficio che verrà immediatamente sospeso. Il provvedimento firmato dal gip ha portato anche al sequestro di 5 milioni di euro e 6 attività commerciali.

Un vero e proprio “impero economico” gestito dalla famiglia mafiosa che faceva capo a Sorrentino, definito dal gip “protervamente ed irriducibilmente mafioso”. Il boss era il braccio destro di Settimo Mineo, l’uomo che voleva ricostruire la cupola mafiosa. Considerato uno dei più influenti di Cosa nostra palermitana, era stato arrestato nel 2018. Dal carcere di Rebibbia, però, continuava a gestire il mandamento mafioso con l’aiuto del figlio Vincenzo, investito, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, di una funzione di supplenza rispetto al padre, curando gli interessi mafiosi ed economico-criminali della consorteria sul territorio, anche grazie al supporto di un altro giovane affiliato, che avrebbe svolto il ruolo di “braccio operativo” con funzioni di raccordo con i vertici della famiglia.

Sorrentino veicolava al figlio un continuo flusso di informazioni, spesso anche grazie alle videochiamate, introdotte durante la pandemia per agevolare le relazioni dei detenuti coi familiari. Così Sorrentino, boss del quartiere palermitano, convocava i suoi affiliati per dare ordini e direttive e rafforzare il suo ruolo di comando. Così riusciva a gestire gli affari del quartiere, imponendo il prezzo di vendita del pane degli ambulanti, gestendo il monopolio della fornitura di fiori presso una rete di venditori palermitani in prossimità del cimitero di Sant’Orsola e Santa Maria dei Rotoli a favore di imprese ragusane, vicine al clan stiddaro Carbonaro-Dominante di Vittoria. Se un negozio poteva aprire, era lui a deciderlo, lui a dare l’autorizzazione per il cambio della loro gestione, con l’imposizione di ditte e tecnici per la realizzazione di lavori nei locali commerciali. Era sempre Sorrentino, dal carcere romano a gestire le posizioni dominanti di aziende nel settore edile e del movimento terra, direttamente riconducibili agli interessi della famiglia mafiosa, tanto da poter essere considerate “vera e propria articolazione imprenditoriale del mandamento di Pagliarelli”.