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Dopo Brexit e Boris Johnson, gli inglesi hanno via via perso il gusto di ridere di Berlusconi

di Kevin De Sabbata*

Quasi quindici anni fa, quando studiavo Giurisprudenza a Trieste, andai con un gruppo di compagni di università ad un conferenza in Germania. La nostra professoressa di Diritto privato ci tenne a raccomandarci di comportarci bene perché “fuori ci vedono tutti come tanti piccoli Berlusconi”.

La maggior parte della mia carriera professionale si è svolta all’estero e soprattutto in Inghilterra, e devo dire che l’evocazione del nostro ex-premier da parte dei colleghi è stata spesso un elemento tipico nelle conversazioni. Però, con gli anni, ho avuto il piacere di constatare che al tradizionale quartetto “pizza, spaghetti, mafia e mandolino” la ‘B-word’, come la chiamavano alcuni amici londinesi, veniva aggiunta sempre più di rado. Soprattutto dopo la Brexit, gli inglesi sembrano aver via via perso il gusto di ridere del nostro sistema politico, perché vi vedono riflesso qualcosa di sempre più drammaticamente familiare.

In questi giorni, vari organi di stampa britannici ricordano Berlusconi come il precursore di Trump e Bolsonaro, ma a volte glissano su due altrettanto imbarazzanti eredi locali del Nostro. Il primo è ovviamente Boris Johnson, che gli somiglia soprattutto dal punto di vista della condotta personale e dell’estetica politica. L’altra, forse a sorpresa, è Liz Truss. In questo caso la somiglianza è meno lampante, ma a ben vedere, dal punto di vista economico, il suo governo è quello che più di altri ha cercato di fare quello che Berlusconi ha spesso minacciato ma non ha mai potuto fare veramente. L’esito disastroso di questo recente tentativo di “rivoluzione liberale” (o liberista) in salsa londinese, dovrebbe forse farci realizzare che, nonostante abbia certo fatto anche cose buone, anche il Cavaliere forse non le sapeva proprio tutte.

Però, quello che veramente conta di questa storia è che Berlusconi, come Johnson e Truss (o Trump o Bolsonaro o Grillo o Putin), è stato in realtà il prodotto di un trend etico-politico internazionale che esisteva già e trovò la sua incarnazione principe nel Thatcherismo e nel Reaganismo. Come ho scritto in un precedente blog, si tratta di un modello individualista, rampante e narcisista in cui siamo ancora immersi e da cui in molti, anche a sinistra, ci si siamo fatti sedurre, ma che, nonostante le promesse di prosperità, ci ha poi generalmente lasciati più poveri.

Le ideologie politiche, soprattutto quando incarnate da individui di indubbio carisma, non sono statiche, ma camminano e ancora di più degenerano. Sono come un fiume in piena: se non trovano dighe sufficientemente forti sul loro cammino debordano e travolgono tutto. Così quando ci si affida (come ha fatto quasi tutto il mondo occidentale a partire almeno dagli anni ottanta) ad un liberismo sempre più spinto, basato sull’individualismo totale, sulla deregulation (giuridica e morale), sul laissez-faire assoluto, sul ‘ghe pensi mi’, la degenerazione populista è inevitabile.

La libertà è una cosa meravigliosa, nobile e sacrosanta, ma funziona finché è guidata da un’etica della virtù (o almeno del buonsenso). Di quest’etica Berlusconi è stato uno dei più convinti ed efficaci picconatori (anche se non certo il solo) e forse questa è stata la sua più grande colpa.

*docente presso la Facoltà di Giurisprudenza della Keele University in Inghilterra