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“La Veneranda fabbrica di Silvio”. Quando Berlusconi salì sul tetto del Duomo di Milano e promise soldi che non arrivarono mai

Duomo blindato per Berlusconi. Non è la prima volta, c’è un precedente e racconta molto di lui: la storia della “Veneranda Fabbrica di Silvio”. Bisogna tornare indietro di 13 anni, al 19 luglio del 2010. Sul tetto della cattedrale, tra le guglie slanciate al cielo, si ergeva proprio Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio oggi atteso nel feretro. L’intero perimetro blindato da imponenti misure di sicurezza, proprio come nel giorno dei funerali di Stato. Ci arrivò a forza quel giorno, costretto da una vicenda che offre l’ennesimo ritratto del personaggio col suo côté di adulatori seriali, il vizio delle promesse mancante, lo spirito guascone e calcolatore con cui ha animato la commedia politica italiana per quasi mezzo secolo. Ma cosa ci faceva, Berlusconi, lassù?

Nella “sua” Milano era esploso il caso della Veneranda Fabbrica del Duomo, quella che dal 1384 manda avanti la manutenzione delle guglie e che dal 2017 – non a caso – presiede il fedele Fedele Confalonieri. All’epoca il presidente era Angelo Caloia, economista dc che aveva retto le sorti dello Ior tra mille turbolenze per 20 anni, e che nel 2021 finirà condannato a otto anni dal Tribunale vaticano per riciclaggio e appropriazione indebita, ma è un’altra storia. Quel che conta è che guardando i conti si era ritrovato una voragine: scopre infatti che il governo Berlusconi aveva cancellato con un tratto di penna il contributo statale annuale da 5 milioni di euro che aveva istituito nel 1998 Romano Prodi al posto delle mance con cui doveva fare i conti ad ogni Finanziaria. L’appello è diretto: “Berlusconi ripristini il contributo pubblico”.

Per la Milano di quegli anni, con Letizia Moratti sindaco, è questione scottante, l’opposizione attacca: si scopre infatti che anche dal Comune non arrivano soldi alla Fabbrica, da che Gabriele Albertini nel 2002 aveva tagliato il fondo da 1 milione con cui il Comune sovvenzionava la Fondazione. La notizia può far male. Il monumento simbolo della capitale economica d’Italia, già città di Berlusconi, “senza soldi” rischia di fare il giro del mondo. Scatta l’operazione salva-Silvio. Il suo fedelissimo presidente della Provincia Guido Podestà gli serve il palco per un annuncio riparatore: il Duomo. Quel 19 luglio 2010 cadono i 150 della fondazione della Provincia e Podestà lancia l’idea, sposata con diffidenza dal Caloia, di un concerto con raccolta fondi tra quelle guglie in eterno restauro con tanto di invito al premier. Prima ancora della consegna, filtra la notizia che sarà consegnato anche il “Premio Grande Milano”, che del tutto casualmente sarà attribuito a Berlusconi stesso con la motivazione “grande statista” e a Don Luigi Verzé, l’ottuagenario fondatore del San Raffaele dove l’ex Cavaliere si è spento due giorni fa. Attorno si materializzano gli stessi big del Pdl che oggi non mancheranno: La Russa, Santanché, Ronzulli, Formigoni, Brambilla e via dicendo. L’opposizione non si presenta, la ritiene una “buffonata”.

Per dare risalto all’evento viene invitato, nientemeno, lo chansonnier francese Charles Aznavour, 83 anni, a cantare 12 brani. Smaccatissimo omaggio ai tempi in cui Berlusconi alla chitarra e Confalonieri al piano si esibivano sulle navi da crociera negli anni Cinquanta. Berlusconi si fa le foto di rito ma non conta: “La carica istituzionale me lo impedisce e poi sono sicuro che avrei cantato meglio di lui”. Dopo gli applausi il discorso, e la solenne promessa: “D’accordo, ripristinerò i fondi per il Duomo”, con interviste affettuose in cui a margine il premier confida di sentirsi protetto dalla Madonnina che campeggia lassù, specie per essere scampato all’aggressione con Duomo in miniatura per ora di Tartaglia.

Sui giornali milanesi l’indomani è l’incoronazione: menomale che Silvio c’è. E invece. Tempo sei mesi e il reggente della Fabbrica torna sul punto: “Berlusconi aveva promesso, non abbiamo visto un soldo” tuona il presidente Caoloia dalle pagine del Corriere. Nel 2014 esce di scena travolto da un rivolo dell’inchiesta sullo Ior, poi dall’altra proprio sui soldi della Fabbrica. Ma nel mollare la presidenza si toglie il sassolino dalla scarpa: ebbene sì, a distanza di 4 anni ancora i soldi promessi da Berlusconi non sono mai arrivati. A presiedere la Fondazione sarà prima monsignor Gianantonio Borgonovo, lo stesso che oggi riceve il feretro di Berlusconi e poi il braccio destro Confalonieri che ancora oggi fa gli onori di casa. E di quella storia, forse non per caso, non ha più parlato nessuno.