Politica

Emilia Romagna: al di là del cambiamento climatico, la responsabilità della politica è enorme

di Savino Balzano

Se c’è una cosa che davvero non sopporto è vedere i politici in televisione con indosso la felpa della Protezione Civile all’indomani di una tragedia come quella che ha colpito la nostra Emilia Romagna. Lo ha fatto di recente anche Stefano Bonaccini e penso che davvero abbia perso l’occasione per smentire una prassi banale e desolatamente prevedibile. Sia chiaro, la sua non è che l’ultima manifestazione di una politica con la p minuscola, che letteralmente prova a mettere una toppa dinanzi agli effetti di mancate scelte, di scelte tardive o di scelte semplicemente scellerate.

La politica prova ad ammantarsi di eroismo: quella felpa rappresenta tante donne e tanti uomini che di eroico qualcosa hanno per davvero e che nel fango e nelle macerie provano a contenere i danni, a salvare vite umane. Dinanzi alla loro opera, penso che questa politica sia cosa assai misera e che di eroico invece non esprima assolutamente nulla.

Si prova in questi giorni a buttare la palla in tribuna: tutta colpa del cambiamento climatico. Francamente non lo so: c’è chi sostiene, serie storiche alla mano, che in Emilia Romagna periodicamente questa calamità si siano bene o male (magari con intensità diverse) già abbattute. Peraltro attorno al cambiamento climatico si dibatte vivacemente e c’è chi nega abbia origine antropica o che ce l’abbia in parte (minima o massima che sia). Una cosa è sicura: al netto di quanto sostenuto dai tanti che provano a speculare con la storia del green, come Paese e come individui, da soli, rispetto a questi cambiamenti possiamo fare ben poco. Anche in considerazione di ciò, trovo davvero scialba e stucchevole la retorica di chi descrive quelle di Ultima Generazione (o affini) come battaglie combattute per tutti noi: temo siano drammaticamente funzionali alla speculazione di cui sopra. Pertanto combattano pure, ma non in mio nome.

Il tema del cambiamento climatico è maledettamente deresponsabilizzante e per questo cavalcato dalla politica in generale: pensateci, cosa possono fare questi poveri governanti dinanzi a fenomeni epocali come il surriscaldamento globale? Non resta loro che indossare la felpa della Protezione Civile e raccogliere le macerie: nel dramma, troppo facile vien da dire. E nel frattempo possono pure pensare di imporre una qualche “conversione ecologica” che faccia fare affari d’oro a taluni gruppi importanti.

Questa politica ha responsabilità enormi rispetto a quanto accaduto: c’è chi prova a negare, con una faccia tosta che doppiamente manca di rispetto persino ai morti, la cementificazione selvaggia e il consumo del suolo, ma non è solo questo. C’è il mancato innalzamento degli argini che sono stati scavalcati dall’acqua, c’è il mancato rafforzamento di quelli che hanno ceduto, c’è la mancata pulizia dei canali e dei letti dei fiumi che continuano a inspessirsi e alzarsi, c’è la mancata installazione di sufficienti idrovore e così via. Altrove cambia il soggetto, ma la storia è sempre la stessa: si pensi alla mancata pulizia dei boschi che si appesantiscono e attendono solo di franarci addosso.

Il progressismo al potere è responsabile dei disastri che viviamo (o un certo conservatorismo, che è poi esattamente la stessa cosa): «si sta come d’autunno sugli alberi le foglie», in attesa del prossimo terremoto, della prossima alluvione, del prossimo virus.

Tante volte lo si è ripetuto: la politica è una questione di priorità. Da un lato c’è la causa della democrazia, l’abnegazione dinanzi ai bisogni della gente e soprattutto di quella più esposta e in pericolo: dall’altro ci sono i conti in ordine. Il silenzio di Elly Schlein, o il suo flebile e tardivo pigolare, ne è la dimostrazione: Segretaria del partito che guida la Regione, ex Vicepresidente della Regione, ex Assessore al “patto per il clima” di quella Regione. Non vorrei essere al suo posto, ma tutto sommato poco importa: a questa politica è sufficiente assumere un’espressione addolorata, indossare una bella felpa e ricordarsi del tricolore solo quando serve per avvolgere una bara. E andiamo avanti così, con un’idea di progresso che appare piuttosto la più cupa delle barbarie.

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