Scuola

Calabria, “la scuola usa i ragazzi rom come capro espiatorio per le sue colpe”: la denuncia di una associazione

“Mentre si celebra Don Milani e Barbiana, nella scuola pubblica si continua ad emarginare gli alunni ‘indesiderati’”. La denuncia è del presidente dell’associazione “Un mondo di mondi” Giacomo Marino che a Reggio Calabria si occupa dell’integrazione dei rom. Marino si riferisce ai bambini rom che abitano ad Arghillà, un quartiere popolare nella periferia nord della città dello Stretto dove anni fa l’amministrazione comunale ha trasferito centinaia di famiglie creando un vero e proprio “ghetto” in cui, secondo Marino, i minori in età scolare “non subiscono solo l’emarginazione abitativa ma subiscono anche l’emarginazione scolastica con un processo di colpevolizzazione e di inferiorizzazione”.

La polemica nasce dal rapporto di autovalutazione redatto dall’istituto comprensivo “Radice Alighieri”. Un rapporto in cui, a pagina 36, si legge: “Nella scuola la forte presenza di alunni di diversa etnia e rom distribuiti, come da scelte di Istituto, in tutte le classi, rallenta i tempi di raggiungimento dei livelli ottimali di apprendimento generale, nonostante l’impegno di tutta la comunità scolastica”.

“Con questa dichiarazione – commenta Marino – l’istituto comprensivo, applicando la strategia del capro espiatorio, scarica sugli alunni rom ma pure sulle altre ‘etnie’, tutte le responsabilità dei ritardi negli apprendimenti dei suoi alunni. Responsabilità che chiaramente sono della scuola. Ma con la presenza dei rom, che sono sempre stati un perfetto capro espiatorio (lo sono anche per coprire le responsabilità istituzionali del ghetto di Arghillà), questa responsabilità può essere addebitata a loro”.

Nel rapporto di autovalutazione dell’istituto, però, c’è un altro passaggio in cui, secondo il presidente dell’associazione ‘Un mondo di mondi”, si percepisce il tentativo della scuola di “liberarsi delle sue responsabilità”. A pagina 83 del documento, infatti, c’è scritto che “La scuola si attesta al livello 6 appena sopra la fascia di eccellenza per la motivazione già citata diverse volte, ovvero la presenza massiccia della comunità Rom, a volte o spesso non facile da gestire”.

Le considerazioni di Marino sono amare: “Quindi non solo l’istituto non ha più alcuna colpa se gli alunni apprendono più lentamente perché la colpa è dei rom, ma dovendo gestire gli alunni rom e le loro famiglie si può attribuire come ‘premio’ anche un alto livello di valutazione. La scuola, per dare più forza al suo capro espiatorio, si inventa la presenza massiccia della comunità rom e quindi degli alunni rom nonostante i dati riportati dalla stessa Scuola non dicano questo, cosi come i dati delle famiglie rom ad Arghillà”.

Il riferimento è a una lettera in cui la dirigente dell’istituto ha risposto a Rosalia Mangiacavallo, referente per l’Italia dell’European Roma Right Center (ERRC). In quella lettera c’è scritto che per l’anno scolastico 2022-2023 gli alunni “di etnia rom” iscritti alla scuola “Radice Alighieri” sono 127 mentre gli alunni complessivi sono 829.

“Si evince quindi – aggiunge Marino – che gli alunni rom sono il 15,32%. Secondo la letteratura esistente in materia, non si può parlare di ‘presenza massiccia’ quando gli alunni non superano il 50%. Per quanto riguarda la presenza delle famiglie rom nel ghetto di Arghillà Nord su circa 950 nuclei complessivi i nuclei rom sono circa 150, ossia il 15,79%. Anche per i nuclei familiari non esiste alcuna presenza massiccia ad Arghillà. Ma inventare dati e fatti negativi sui rom, come sostiene l’antropologo Leonardo Piasere, purtroppo è una prassi che si è consolidata applicando ai rom la figura del trickster che è un personaggio sul quale si può dire tutto quello che si vuole per poter ‘costruire’ adeguatamente l’esempio di negatività”.

Se nel rapporto di autovalutazione ci sono passaggi discutibili, non è da meno il Piano triennale dell’offerta formativa 2022-2025: “Considera tutti gli alunni rom – spiega Marino – come elemento di debolezza mettendoli insieme agli alunni diversamente abili ed agli alunni con bisogni educativi speciali”. A pagina 146, infatti, c’è scritto: “Il nostro Istituto, collocato nell’estrema periferia nord della città, opera in un contesto territoriale multiculturale, dove l’utenza è rappresentata da un elevato numero di famiglie di diverse etnie. Non si può non considerare, che all’interno della nostra istituzione esistono casi a rischio di dispersione, alunni diversamente abili, alunni appartenenti alla comunità rom, alunni con bisogni educativi speciali”.

“Essere rom per questa scuola è come avere una patologia” conclude Marino il quale, dopo aver ricordato la polemica scoppiata in autunno sulle classi differenziali, auspica che “le istituzioni non rimangano ancora in silenzio e che la stessa scuola riveda queste posizioni e decida di intraprendere un percorso di autentica ed efficace inclusione dei rom riconoscendo loro pari dignità e capacità di apprendimento”.