Politica

Consentireste a un Parlamento non pienamente rappresentativo di cambiare la Costituzione?

Consentireste ad un Parlamento eletto con la disciplina della “legge Acerbo” di modificare la Costituzione? Com’è noto, la legge Acerbo del 1923 disponeva l’assegnazione dei due terzi dei seggi della Camera dei deputati alla lista elettorale che avesse conseguito la maggioranza dei voti. In base a tale disciplina, il partito fascista ottenne i due terzi dei seggi, nelle elezioni dell’anno successivo.

L’attuale legge elettorale per il Parlamento (elezione di Deputati e Senatori), nota come Rosatellum bis, non reca la disciplina della legge Acerbo; e neppure reca la disciplina della legge elettorale del 2005, nota come Porcellum (poi annullata dalla Corte costituzionale per violazione del principio democratico-rappresentativo, art. 1 Cost.). Ma la legge attuale reca allo stesso modo una disciplina che risulta fortemente distorsiva rispetto al principio democratico-rappresentativo. A seguito delle elezioni dello scorso settembre (2022), si è formato un Parlamento in cui la coalizione di maggioranza (FdI, Lega, FI, NM) ha circa il 60% dei seggi, ancorché l’esito elettorale della coalizione stessa corrisponda a meno del 44% dei votanti e soltanto al 27% circa degli elettori.

Consentireste ad un Parlamento così composto di modificare, anche in modo cospicuo (come si sente dire), la Costituzione?

La via procedurale segnata dall’articolo 138 Cost. conduce proprio a questo: si traduce “nella consegna della riforma costituzionale alla maggioranza parlamentare di turno” (Stefano Passigli). Il procedimento di revisione costituzionale stabilito dall’articolo 138 Cost. può dirsi esemplare (come tutto l’operato della Assemblea costituente, 1946-1947), ma esso richiede necessariamente la disciplina elettorale proporzionale per l’elezione dei membri delle due Camere.

Il Parlamento dev’essere rappresentativo del popolo. Correzioni ad una disciplina elettorale proporzionale sono ammissibili (Corte cost., sent. 1/2014) nell’interesse della stabilità di governo. Ma esse diventano discutibili nel momento in cui il Parlamento opera come organo di revisione costituzionale. La revisione può essere approvata in via definitiva esclusivamente con il voto della “sovradimensionata” coalizione di governo (in proposito si segnalano recenti interventi della Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente del Senato secondo cui sarà cercata la più larga convergenza politica, e comunque alla riforma costituzionale si giungerà, eventualmente con il voto favorevole della sola maggioranza di governo).

Vero è che già un Parlamento “di legislatura”, eletto con una disciplina elettorale (legge 270 del 2005, cosiddetto Porcellum) assai distorsiva in relazione al principio democratico rappresentativo, come “certificato” poi dalla Corte costituzionale (sent. 1/2014), ebbe modo di approvare in via definitiva (gennaio-aprile 2016) un’ampia revisione della parte seconda della Costituzione. Ma se questi sono i fatti, non può essere dimenticato che in punto di diritto costituzionale quel Parlamento “di legislatura” venne qualificato come “Parlamento abusivo” (Gustavo Zagrebelsky) già in riferimento all’attività legislativa ordinaria; tanto più in riferimento ad attività di revisione costituzionale.

La distorsione rispetto al principio democratico rappresentativo, prodottasi con l’applicazione dell’attuale disciplina elettorale alle ultime elezioni (settembre 2022), è di analoga misura, con l’aggravante (come circostanza di fatto) che ora per la coalizione maggioritaria è abbastanza agevole (o assai meno difficile), con un drappello di parlamentari di altri gruppi, raggiungere e superare la maggioranza dei due terzi, escludendo così la possibilità di chiedere il referendum popolare sulla legge di revisione costituzionale definitivamente approvata.

Va rammentato in proposito che, in caso di approvazione della revisione costituzionale con maggioranza dei due terzi (o superiore) in seconda deliberazione, il referendum è escluso, in base all’art. 138, sulla supposizione che essendo il consenso in Parlamento tanto largo la decisione parlamentare verrebbe certamente confermata dalla maggioranza del corpo elettorale, del quale il Parlamento è (dovrebbe essere) proiezione. Ma non è affatto così guardando alla composizione dell’attuale Parlamento “di legislatura”.

Aggiungasi che nel momento presente il rischio di passare, attraverso la procedura dell’articolo 138 Cost., da un sistema istituzionale democratico ad un sistema sensibilmente meno democratico, non solo contro la volontà della maggioranza dei cittadini ma in primo luogo contro i principi supremi della stessa Costituzione, appare abbastanza concreto. Quindi, non è affatto ozioso riflettere a fondo sul metodo per deliberare la (eventuale) riforma costituzionale, prima di entrare nel merito della riforma stessa.