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Operazione della Cina per rafforzare i legami con gli ex stati sovietici. Mosca sta a guardare

La Cina ama numeri roboanti che suscitino impressione e, da questo punto di vista, il summit di Xi’an con i presidenti delle cinque repubbliche dell’Asia Centrale non ha deluso le aspettative. Durante la due giorni il presidente cinese Xi Jinping, che ha fortemente voluto l’incontro, ha intrattenuto colloqui bilaterali con i leader di Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan per poi presiedere la sessione “plenaria”. Sono stati ben 82 gli accordi ufficiali siglati durante gli incontri, un numero che fa ben capire quanti siano i tavoli su cui gli interessi di Repubblica Popolare e Paesi centro asiatici si incrociano. La concomitanza con il G7 di Hiroshima e, in misura minore, l’elaborata cerimonia messa in piedi a Xi’an per sancire l’inizio della due giorni di lavori, hanno contribuito ad aumentare il peso simbolico di quanto avvenuto nella città della Cina centrale.

Al netto però della grandeur cinese, il significato del viaggio verso est dei presidenti degli stati post-sovietici è soprattutto geopolitico, visto che sul fronte economico e strettamente politico il meeting ha solo sancito la continuazione o al massimo l’approfondimento di rapporti, molto stretti, già in essere. Pechino ha elevato a livello di partnership strategica la relazione bilaterale con l’Asia Centrale e ha dichiarato la volontà di accompagnare i leader locali nel percorso di sviluppo dei propri Paesi, garantendo la loro libertà di manovra, la loro sovranità, sicurezza, indipendenza e integrità territoriale. Un ritornello che sta apparendo con grande frequenza nelle dichiarazioni di questo tipo dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Come a ribadire che la Cina non minaccia in alcun modo i confini delle sue controparti locali. Sul fronte logistico, Xi Jinping ha sottolineato il supporto cinese a tutti i progetti di connettività in corso nella regione, chiaro segnale che la Belt & Road Initiative, iniziativa infrastrutturale di cui ricorre il decimo anniversario dal lancio (avvenuto proprio dal Kazakistan), è ancora al centro degli interessi di Pechino lungo la direttrice est-ovest. Lo stesso dicasi per il fronte della sicurezza: il Kirghizistan, ad esempio, ha dichiarato il massimo supporto alla Repubblica Popolare sulla questione dello Xinjiang e le forze armate tagiche terranno nuove esercitazioni congiunte con l’esercito cinese nei prossimi mesi.

Senza dubbio dalla Russia si è guardato con grande attenzione alla due giorni di Xi’an. Mosca è infatti consapevole del suo isolamento internazionale e dell’importanza sempre maggiore che le cinque repubbliche centro asiatiche rivestono: sono, d’altronde, tra i pochi alleati rimasti per il Cremlino. Prova ne è il viaggio tenuto in blocco dai leader locali verso la Federazione in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Vittoria. Unici capi di stato presenti, a parte il bielorusso Aleksandr Lukashenko e l’armeno Nikol Pashinyan. Il messaggio arrivato a Vladimir Putin dalla terra cinese è che Xi Jinping vuole giocare in autonomia (perlomeno parziale) la propria partita in Asia Centrale. Questo nonostante durante la visita del presidente cinese a Mosca del marzo scorso, i due leader abbiano rilasciato una dichiarazione congiunta in cui è stata messa nera su bianco la volontà di cooperare nella regione e soprattutto di non accettare tentativi di forze esterne di destabilizzarla.

Nel corso del summit in Cina non vi è stato oltretutto alcun accenno alla Russia né tantomeno alla vicenda ucraina. Anche questo un messaggio chiaro: la situazione in Est Europa è dovuta esclusivamente alle decisioni di Putin ed è ora che in Asia Centrale non si considerino i problemi del Cremlino come problemi anche locali. Questo perché, nell’attuale mondo sempre più multipolare, anche Pechino rappresenta un partner politico su cui fare affidamento. Si tratta di una consapevolezza che, venendo alla dimensione più strettamente centro asiatica, sicuramente riscalda i cuori di leader come il kazaco Kassym-Jomart Tokayev o l’uzbeco Shavkat Mirziyoyev. Questi ultimi sono infatti alle prese con il definitivo consolidamento della presa sui rispettivi regimi, una dinamica che si lega strettamente anche alla necessità di garantire un livello costante di crescita economica interna. Un obiettivo, quest’ultimo, portato avanti cercando di mostrare Kazakistan e Uzbekistan come paesi stabili e in cui fare affari è vantaggioso e sicuro. Non è un caso che il leader uzbeco appena prima di recarsi in Cina sia stato in Germania e che a giugno sarà in Italia, nel tentativo di assicurarsi investimenti e appoggio politico, in vista anche delle elezioni presidenziali anticipate che si terranno in Uzbekistan a luglio. Ecco allora che gli investimenti e il supporto strategico cinese diventano fondamentali da questo punto di vista, soprattutto alla luce della sempre maggiore imprevedibilità che riguarda lo storico alleato russo. Un alleato con cui non si può rompere definitivamente, ad esempio precipitandosi a Mosca in occasione di una celebrazione come quella della Giornata della Vittoria, ma da cui è bene provare a distanziarsi con sempre maggiore decisione.