Media & Regime

Fazio lascia la Rai: mi imbarazza la commozione di certi giornali. Così come l’esultanza di Salvini

Non pochi intellettuali si baloccano con l’espressione enfatica secondo cui la nostra società sarebbe dominata dal “pensiero unico”. Che lo facciano per attirare i like con una locuzione tanto suggestiva quanto irrealistica, oppure che ne siano effettivamente convinti, a me sembra evidente che sono del tutto fuori strada. Per carità, il capolavoro di George Orwell 1984 (quello in cui si descriveva benissimo un regime da dittatura del pensiero omologato) non passa mai di moda, ma bisogna rendersi conto che lì era narrata una condizione più simile ai totalitarismi novecenteschi che non allo scenario di istupidimento delle masse in cui ci troviamo oggi.

Il caso della Rai e del conduttore Fabio Fazio possono costituire un valido esempio di tale scenario.

Da una parte abbiamo le giaculatorie dei corifei del politicamente corretto, che gridano al regime televisivo, all’occupazione della televisione pubblica e, in certi casi, perfino a un vulnus che sarebbe stato inferto alla cultura e alla libertà dell’intero popolo italiano.

Costoro sembrano ignorare del tutto alcuni dati che emergono evidenti anche solo a una riflessione superficiale. Per esempio che la pratica di occupazione della Rai è vecchia quanto la televisione stessa, che nessuna parte politica (e culturale) ne ha mai preso le distanze e che Fabio Fazio – ottimo professionista e fra i pochi a inventarsi qualcosa – è da oltre trent’anni uomo di punta della televisione pubblica, pur essendosi alternati governi di ideologie opposte.

Al tempo stesso sarebbe il caso di ammettere che le trasmissioni dello stesso Fazio – sempre di ottima fattura e anche pregevoli fatturazioni – si sono distinte per aver ospitato, specialmente in ambito culturale e di intellettuali, sempre le stesse figure, non solo e non tanto appartenenti a una posizione più o meno progressista, ma soprattutto riconducibili a quelle solite cerchie di potere letterario che poco o nullo spazio lasciano all’emersione di figure nuove, più giovani e soprattutto non cooptate all’interno di quelle medesime cerchie.

Infine, si dovrebbe considerare che il signor Fazio e la sua squadra di lavoro sono anche degli ottimi imprenditori, inseriti all’interno di un mercato che giustamente li premia con incassi milionari. Insomma, vedere tutto lo spazio, l’enfasi e perfino la commozione che tanti giornali progressisti dedicano a questa vicenda interna al mondo dello spettacolo mette un certo imbarazzo in chi constata la condizione in cui versano per esempio i diritti sociali, la disoccupazione giovanile, lo sfruttamento che torna in maniera preoccupante, l’allargarsi della forbice tra i pochi che possiedono sempre più privilegi e i molti che versano in condizioni di crescente disagio esistenziale e sociale.

Le cose non vanno meglio dall’altra parte, quella dei conservatori e della destra oggi al governo. Penso per esempio al vicepremier Salvini, tra i primi a doversi occupare dei disastri sociali di cui sopra e che, invece, non trova di meglio da fare che sfornare post e dichiarazioni di disprezzo continui per Che tempo che fa e giubilo per il fatto che non comparirà più sulle reti Rai. Non è tanto l’inopportunità del gesto per un vicepremier, quanto i modi e gli argomenti, quelli che potrebbe utilizzare un ragazzotto in un bar o in una palestra (con tutto il rispetto per questi luoghi). Sarei curioso di capire, per esempio, se l’azienda per cui anche il governo di destra continua a chiedere il canone agli italiani, saprà ottenere gli stessi profitti che garantiva Fazio in quegli orari e in quei giorni, per non parlare della qualità dei contenuti (pur al netto dei limiti che sopra ho cercato di evidenziare). Il Paese tracolla sempre più nella disoccupazione, nel disagio esistenziale, nella povertà economica e culturale, mentre chi ci governa – e i giornali di riferimento di tale area politica – mostrano giubilo per quella che viene spacciata come la costruzione di una nuova narrazione culturale.

Insomma, altro che scenario da pensiero unico. A emergere, piuttosto, mi sembra un non-pensiero unico e totalizzante, una narrazione ottusa e ignorante che è diffusa fra tutti i protagonisti della scena politica e culturale del nostro Paese.

Non si tratta della dittatura del regime, del pensiero unico e della dittatura descritti da Orwell in 1984. Si dovrebbe piuttosto fare riferimento a Il mondo nuovo di Huxley, quello in cui si narrava una società in cui il popolo sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che la libererà dalla fatica di pensare. In cui il problema non è la censura delle informazioni o della verità, ma uno scenario in cui ci avrebbero sommerso di talmente tante informazioni da ridurci alla passività e all’egoismo, dove la verità stessa sarebbe stata affogata in un mare di irrilevanza.